Posts Tagged ‘sociologia’

Un pioniere in ritardo


06 Nov

Nel 1922 un vagabondo improvvisatosi sociologo – o un sociologo in maschera vagabonda – scrive questo libro, che poi si trasformerà in una precisa fotografia su un popolo nascosto tra i meandri della storia
[un popolo senza nazione, il popolo degli Hobo].

Qui le rose non sbocciano mai; i petali di seta
non possono essere sporcati.

Si tratta di un popolo in continua mobilità
mobilità sociale, geografica, urbana, stagionale.
Lavoratori e vagabondi
(a differenza di bums, barboni, e tramps, perdigiorno)
che sono le mani a contratto giornaliero di un capitalismo usa e getta.

Oggi nelle piantagioni,
domani a costruir ferrovie,
dopodomani in città,
gli hobo conducono un’esistenza in continuo movimento.
e la frontiera è sempre un po’ più in là.

Andersen, l’autore del libro, fu uno di loro.

Ma la figura di riferimento è Robert Park,
l’autore dell’autore del libro,
nel senso che “non mi interessava scrivere libri di prima persona,
ma spingere altri a scrivere”.

Park ha inventato la sociologia di strada, ha studiato La Città
in una Chicago che esplodeva al ritmo di Nuovo Mondo:
30.000 abitanti nel 1850
500.000 nel 1880
2 milioni nel 1910.

E nel commento al libro di Andersen scrive:

Finché l’uomo sarà così legato alla terra e ai suoi luoghi, egli non si renderà mai pienamente conto di quell’altra caratteristica ambizione dell’umanità, cioè quella di muoversi liberamente e senza impedimenti al di sopra delle cose mondane e di vivere, come puro spirito, soltanto nella sua mente e nella sua immaginazione.

Se la società fosse un organismo in senso biologico, non vi sarebbe alcun bisogno per gli uomini in società di avere la mente, poichè essi sono sociali non già perchè sono simili, ma perchè sono diversi. Essi sono indotti ad agire da scopi individuali, ma così facendo realizzano un fine comune.

Alla luce di tutto ciò, qual è il guaio nella mentalità del vagabondo? Perchè con conoscenze così vaste di paesi, uomini e città, e con la vita all’aria aperta e nei bassifondi ha potuto contribuire in così scarsa misura alla nostra conoscenza reale della vita?
L’inquietudine e l’impulso a evadere dalla consuetudine della vita ordinaria, che per altre persone segna spesso l’inizio di qualche nuova impresa, si esauriscono per il vagabondo in movimenti che sono puramente espressivi. Egli cerca il mutamento soltanto per amore del mutamento; la sua è un’abitudine e, come l’abitudine alla droga, si muove in un circolo vizioso: più egli vaga e più deve farlo.

Tutte le forme di associazione tra esseri umani poggiano in ultima analisi sulla località e sull’associazione locale. Il vagabondo invece ha sacrificato il bisogno umano di associazione e di organizzazione alla passione romantica per la libertà individuale. Ma affinché nella società possano esserci permanenza e progresso, gli individui che la compongono devono essere localizzati; e ciò soprattutto per mantenere la comunicazione, poiché soltanto attraverso la comunicazione è possibile mantenere quell’equilibrio instabile che chiamiamo società. 

E’ per questo che poi abbiamo inventato i social network?

Gone

Reminescenze su un quaderno giallo


25 Nov

La scuola sociologica utilitarista sostiene che gli individui agiscano inseguendo sempre il loro personale interesse, dice il professore, e intanto fuori dalla finestra il grande fiume appare pericolosamente a secco, è questo che pensa Nacho mentre osserva il cargo all’orizzonte, carne fresca dalla Cina, carne e plastica e gas e metallo, mentre la teoria collettivista, proposta da Durkheim, considera la cultura come un grande strumento potente che guida le interazioni tra gli esseri umani verso un innato senso del bene comune, anime erranti orientate verso il giusto, e secondo questa versione olistica della realtà anche gli egoisti non sarebbero più egoisti, sembra dire il professore, o sembra intendere il tipo con la maglia di bob marley seduto in terza fila, mentre lecca con gli occhi la linea di stoffa nascondersi tra il calore di Beatriz, mentre la nave cinese si avvicina verso il porto, questi cinesi così collettivisti fino al midollo, interessi personali costruiscono bene comune, interessi personali costruiscono oggetti di plastica, ma come condannare quei padri di famiglia che rubano le motociclette fuori da questa università terzomondiale? Potrà definirsi “utilitarista” colui che persegue l’interesse dei propri figli? O saremo forse di fronte a una situazione di sostanziale collettivismo (l’azione personale di rubare per perseguire l’interesse sociale di un’infanzia meglio alimentata), e allora a questo punto cosa sarei io, il più utilitarista tra gli egoisti, l’anticollettivista per definizione, la falla nel sistema il parassita o un individualista d’avanguardia, un individualista immerso in una dimensione socialmente utile, una vittima della collettivizzazione spinto a perdersi in acque straniere, un inutilitarista imperterrito dedito a antitrasformare il collettivo in utilitario – e quindi implicitamente un prodotto della visione olistica della società – mi dica professore, cosa sono io?

Considerazioni sociologiche da postino part-time


20 Lug

..una figura in netta decadenza, si sa. I postini, ma anche i preti, non sono più quelli di una volta. Eppure continuano ad essere – entrambi, indiscriminatamente – l’ultimo ponte di collegamento tra intere comunità di anime abbandonate a se stesse ed entità (Dio, Stato…) che un poco alla volta paiono dimenticarsi di loro.

Il postino di un paesello X in una provincia X a bassa densità abitativa, per esempio, inerpicandosi su per quelle stradine dal classico “qui ci passa solo il postino”, scopre un mondo fatto di cascine abbandonate, pietre di Langa gettate alle ortiche, stoiche vecchiette dal fazzoletto in testa e lo sguardo duro che ancora resiste, e non si piega alla logica illogica di un Paese che costruisce e distrugge, là dietro il campo d’orzo ormai cotto dal sole di luglio.

Un paio di chilometri più in là, invece, lo sguardo è spento. Il signor C. ha smesso di camminare e anche di parlare, e d’altra parte, lui non sa il bielorusso e Tatsiana non parla piemontese. L’italiano è lingua straniera per tutti e due, e comunque non ci sarebbe più niente da dire. Entrambi aspettano il giornale del venerdì, e forse anche qualcosa di più.

Il postino continua ed è insensibile, è un pezzo qualsiasi di un ingranaggio che va avanti comunque. E si arrampica per le colline, a portar cartoline e bollette ad un paesino che nessuno sa più dove sia. Cent’anni qua ci vivevano cinquecento persone, gli dice la segretaria comunale. E lui pensa al condominio anni settanta, laggiù in città, il primo del lungo giro. Tutta la posta del paesino anoressico starebbe nelle sue  buche delle lettere, strano ma vero.

I giornali. Settimanale cattolico-ecclesiastico. Settimanale cattolico-bigotto-locale. Settimanale cattolico-nazionale, un pezzo di storia nazionalpopolare. Un quotidiano nazionale qua e là, nei ristoranti. Svariati magazine di agricoltura. Un nome femminile abbonato a Umanità Nova, settimanale anarchico. Chissà se un’anarchica accetta inviti a cena dai postini.

I colleghi. In buona parte, gente repressa. Gente frustrata. Gente che ascolta tutte le mattine lo stesso cd, per di più, un pessimo cd. Gente che aspira ad un briciolo di potere in più per riversare la loro mediocrità sugli altri, e vive di intrighi. Qualcuno – pochi – aspetta in serena meditazione il momento della fuga. Gli altri s’incazzano, berlusconi ha aumentato ancora l’età della pensione.

Tanti stranieri, ovunque. Quelli buoni, che comprano le case di pietra, tirano giù l’intonaco che qualche genio appiccò negli anni cinquanta, e si nascondono tra faggi e vigne, parlano tedesco. Quelli cattivi, che hanno i nomi pieni di “h”, e ricevono solo atti giudiziari perchè rubano e violentano neonati. Tutti, buoni e cattivi, sono “stranieri”, e continueranno ad esserlo sempre. Anche dopo vent’anni.

Senso di abbandono. Nessuno scrive più cartoline, solo i bambini ai loro nonni. La signora Franca, vedova, ogni giorno si affaccia e chiede “c’è qualcosa per me”. Ogni tanto arriva una bolletta. Al venerdì, il giornale. Nei giorni di vacche magre, deve accontentarsi dell’immondizia pubblicitaria dei grandi magazzini. Sei bottiglie d’acqua a un euro e quarantanove, bisogna accontentarsi.

Caprioli. Cinque, piccoli, bellissimi. Una madre spaventata, i cuccioli che non hanno ancora capito bene che esistono rumori amici e rumori nemici, e quello del motore, è sempre nemico. Rimangono storditi, scivolano, si rialzano. Poi scappano giù, nel loro angolo di selva, nella loro valle ancora selvatica, nella terra sacra che si incunea tra l’acciaieria, l’autostrada e la civiltà.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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