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Xehismi


21 Dic

Into the psychedelìa

Di Cecilia Reyes.

Il tempo e lo spazio, l’“essere qui” e l’“essere cosciente” di “stare qui”, l’esplorare la nostra esistenza attraverso entrambi, interessanti questioni esistenziali.
Il primo è quest’entità in cui esprimo la mia mente cercando di trovare le parole per decifrarlo, il secondo invece è già decifrato attraverso i sensi: i 2800 metri sul livello del mare, l’odore a pesce fritto della cena, la temperatura dei miei piedi, il sapore a vino della lingua, la sedia su cui mi siedo e a loro volta tutte le molecole che vibrano e la compongono. Questo è lo spazio, molto più semplice da comprendere, ma senza il quale non potremmo nemmeno essere, voglio dire, pensiamo e siamo coscienti della nostra esistenza nell’universo, ci vediamo in uno specchio, mangiamo, cresciamo, amiamo, nasciamo, moriamo, tutto questo grazie al fatto che siamo un cumulo di cellule, di materia percettibile. Il tempo invece è molto più mistico, scorre o trascorre (in italiano è quasi onomatopea), fluisce. Molti pensatori lo paragonano a un fiume che non è mai lo stesso fiume. Facciamo l’esercizio mentale di sederci sulla sponda di un fiume, piccolo, grande, come lo vorrete immaginare. Osservate con ferma attenzione un solo punto del fiume: l’acqua che sta arrivando in questo momento in realtà se n’è già andata, è già lontana, e quella che viene in questo nuovo momento è l’acqua che nel momento precedente stava ancora arrivando. So che sono troppe parole, e chiedo scusa. Voglio solo sottolineare una cosa: questa acqua che vediamo in ogni momento è passato ed è futuro, il presente non può esistere senza entrambi. Nel preciso istante in cui scatti una fotografia del momento presente, è già passato. Nelle parole di Borges, assistiamo “all’agonia del tempo presente disintegrandosi nel passato”.

E il futuro è sempre l’oggi, è il ritorno all’eternità. L’idea di un futuro è ciò che ci alimenta, per questo lo costruiamo a partire dal presente, con pezzi di passato e con giochi di memoria. Platone diceva che il tempo è l’immagine mobile dell’eterno e il futuro sarebbe il movimento dell’anima verso il futuro. Tornare alla non-esistenza, all’eternità. Mi viene in mente una scena per spiegare l’astrazione: immaginiamo una corsa di macchine che partono da un punto A per raggiungere un punto B, noi siamo in tribuna osservando la corsa, semplicemente osservando, seduti senza nessun genere di movimento, nell’“eternità”. Il tempo trascorre sotto forma di sequenza, i secondi sono particelle di eternità, una dopo l’altra in fila, è movimento. La corsa inizia e finisce, come la vita, e subito dopo, torniamo ad essere semplici spettatori fuori dallo spazio della corsa, immobili nel tempo.

Noi, come viaggiatori verso l’eternità, sopportiamo tutto il peso del cammino con le sue incertezze, anche se fortunatamente sappiamo che esiste un nuovo sole che arriverà domani, e dopodomani, e il giorno dopo dopodomani, dandoci il tempo per comprendere il viaggio. Immaginate per un momento che tutto il carico dell’esistenza ci fosse dato tutto in un immenso pacchetto: aperta la confezione, ci sono centinaia di lettere, libri, documenti, film, numeri che ti spiegano tutto. Sarebbe possibile divorare tutta quest’informazione contemporaneamente? No. Per questo ci è stato dato il tempo, per assimilare con calma ognuno di questi libri, lettere, film, informazioni; per leggerli, comprenderli, connettergli gli uni con gli altri. Il rompicapo non si può risolvere in un secondo: ogni tassello è al suo posto, uno dopo l’altro, in successione.

Mi piace scoprire che tanto Borges, come Nietzsche, come Einsten e Hawking, Platone e Sant’Agostino si appassionarono a questo tema come me. Lo stesso Borges diceva che se riuscissimo a decifrare il tempo, decifreremmo tutto. Perché se il tempo fluisce dal passato verso il futuro, ed è infinito, deve avere un’origine. Se fosse eterno, il futuro potrebbe muoversi verso il passato, e non è così che funziona. Un’origine del movimento del tempo, un’origine dell’universo, potrebbe essere la nostra stessa origine. Per questo mi piace studiare e pensare alla meraviglia del tempo, perché è intimamente connesso al nostro problema più profondo: Chi Sono? Chi Siamo? Che facciamo qui? Il tempo è ciò che si scompone mentre penso all’origine del tempo.

Amo il mistero dell’esistenza. Come bene ha detto Sant’Agostino, “sapere che la mia anima arde per sapere tutto”. Essere io stessa è una prova palpabile dell’esistenza del tempo, crescere come qualunque altro essere vivo, cambiare, essere diversa dal giorno precedente, fisicamente e mentalmente, essere cosciente che lo scalino dove appoggio il piede oggi è lo scalino che si abbandona e che davanti ai miei occhi – nascosto? – c’è quello su cui si sta salendo, attraversare mille circostanze che ti conducono verso un destino che nel frattempo è già fuggito, e nonostante tutto questo continuare ad essere sempre io, rimanere senza che importi lo scorrere del tempo, come chi rimane in piedi in mezzo a una tempesta che minaccia di travolgerlo. Siamo sempre noi, fermi in ciò che è mobile, ma mobili dentro ciò che è veramente ferma, l’eternità. Come ho scritto da qualche parte in passato, ogni giorno è un No all’eternità… E non per niente abbiamo giorni e notti, non per niente la terra gira intorno al sole a causa di tale forza. Contiamo i numeri, viviamo e ricordiamo la nostra vita sotto il mandato del sole. Tra un giorno e l’altro, ci prendiamo la notte per dormire, per sognare, io aggiungerei anche per morire, per poter ogni mattina tornare a nascere in un nuovo giorno che scorrerà sempre verso la direzione della notte, come la nostra vita scorrerà sempre verso la morte. Per questo è così magica la notte quando rimaniamo svegli, è un pezzo di oscurità che possiamo vedere. E per questo è così magico il sogno, perché è ciò che più assomiglia alla morte, nel nostro universo conosciuto. E per questo è così magico il tempo, perché mi permette di pensarlo a sé stante, mentre vedo l’orologio trasformarsi in futuro, avvicinarsi al lunedì, al domani.

Ed è già domani.

Traduzione Baltica.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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