Posts Tagged ‘Sud America’

Popol Vuh


16 Apr

La selva come presenza, come entità. Esiste sottoforma di suono, una nota lunga e grave che sembra non finire mai, un coro polifonico come nelle cattedrali di legno e di pietra, nel milletrecento. Guardala e giudica, e dimmi se non la temi. La selva è qualcosa più che la terra, qualcosa meno dell’acqua, è un mondo simbolico che non entrerà mai nella finestra.

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29 Nov

In questo articolo un noto profesor de italiano del Tropico riflette sull’aiuto gesuita tributato ai bisognosi.

44°23′0″N 8°2′0″E


02 Set

Non esistono più geki, solo lucertole intorno a me. E minuscoli sono gli alberi, minuscoli e senza frutti, già non cadono più i mangos sulle teste della gente. E’ riapparso il vino, insieme all’olio e all’aceto, e con il mais non si fanno più arepas e fritongas ma pizza e pane. Il frigo è sempre pieno, il pavimento pulito e le magliette stirate.
Niente più salsa dalla radio, ed effettivamente è la musica tutta ad esser scomparsa dall’ambiente, lasciando quel fastidioso sibilo nelle orecchie tipico della quiete dopo la tempesta. Quotidiano il Papa ci dà la benedizione, e quando non è lui c’è quell’altro Illuminato dai capelli in lega polimerica a promettere falsi paradisi. Son lontane le magie nere e le superstizione criolle. Niente più guerrilla, niente più paramilitarismo. Il sole resiste fino a tardi e con calma torneranno anche le adorabili stagioni, qua nel Sud del Nord del mondo.
Lucide, splendenti e ingannevoli le macchine portano, al sabato sera, uomini giovani, lucidi, splendenti e ingannevoli nell’attacco a giovani donne lucide, splendenti e ingannevoli, in un vero e proprio confronto bellico che 2.000 anni di tradizione cattolica e benpensante hanno forgiato sulle rovine del reciproco piacere. Pare di essere circondati da maniaci sessuali e presunte frigide; il profumo della libertà è ancora forte sulle dita.
I bambini sono diventati vecchi, e quelli che ancora son bambini vengono incatenati a sterilizzatori di ciucci o scaldabiberon a reazione nucleare, togliendo insomma quel vecchio buon gusto della terra nella bocca che dà sapore all’infanzia e rende meno deficiente la popolazione del domani. Tra la polvere dei ricordi, piedi scalzi e campi da calcio improvvisati sempre pieni di cuccioli d’uomo in libertà tra cuccioli di cane e pappagalli colorati. In compenso però i professori continuano ad essere vecchi, a parte “quello giovane e bravo, avrà più o meno 50 anni”, e solamente Leuniju capirà se dico che continuo a sognare i giorni di Multimedia.
Gli “stranieri” si chiamano “immigrati” ed entrano in vila di notte per rubare telefoni e computer, rimanendo però impigliati in un Paese che ancora non riesce a diventare wireless.

Si alzino i calici, si sgozzi l’agnello, Baltic Caribbean Man è tornato nel “primo mondo”.

Illusione a fari spenti


18 Ago

Piove. Pioggia: acqua santa che scende dal cielo travestita di maledizione: appare sempre quando meno serve. Per esempio quando è in giro sulle Ande in bici. Lo zaino è una roba che esplode. Sette mesi di vita vi sono rinchiusi dentro e sette mesi di vita – di questa vita, questi sette mesi – sono materiale esplosivo. Non è colpa dello zaino. Il Venezuela non vuole Chàvez. Lo chiamano “dittatore”, da queste parti, però lo dicono a voce bassa accertandosi bene che nessuno li stia ascoltando. Viaggione, uno s’immagina i caudillos sudamericani anni ’70 dimenticandosi che il presunto “dittatore” ha perso un referendum costituzionale l’anno passato, per giunta di un pelo. Pagliaccio è la parola, dittatore suona forte e inflazionato e comunista. Maracaibo, quella della canzonetta da discopub estivo italiano, è una città industriale e petroliera e sporca, ma soprattutto, delusione delle delusioni, si chiama Maracàibo. Con l’accento sulla “A”. Quante generazioni di persone ha rovintato la Carrà. Le radio suonano come in Colombia e vomitano reggaeton. Mèrida, invece, profuma di Svizzera e sa di SudAmerica. La benzina, postilla fondamentale, in Venezuela costa 30 centesimi di euro al litro.

In conclusione, però, tutto questo è una cazzata. Pura mercanzia mentale, sensazioni impressioni e pensieri di un ubriaco, e vedi che domani si dimentica tutto. Un Discovery Channel davanti agli occhi, un inutile contatto msn che ti dice cose invisibili, un falso secondo di gioia. Sulla pelle, tra i capelli, stretto tra le dita, conficcato in una pupilla, dentro un’orecchia, nelle tasche, nell’organo pensante e nell’organo pulsante, in ogni poro, in ogni poro, in ogni poro, c’è la mia Colombia, c’è lei, c’è me stesso.

Dateci dei dittatori sudamericani


14 Giu

C’è una cosa che mi fa sballare, anzi due. La prima è il colpo di genio di La Russa (ministro della difesa? La Russa? Si??), con i suoi soldati in cittá “ma solo per un anno”. La mia avversione personale contro qualsiasi divisa mi impedisce di commentare equilibratamente la cosa.

Meglio ancora, peró, le risposte del Di Pietro, o di tal ex-parlamentare dei Verdi Angelo Bonelli. E’ sorprendente l’inquietante disinformazione che serpeggia in Italia a proposito di Colombia, sorprendente e triste, se si considera che non è solo la massaia di Saluzzo a sparar le sue teorie su un posto lontano che nemmeno conosce, ma anche politici, mogli di Sarkozy, dottori e panettieri enunciano le loro veritá su questo strano paese cocainomane e dittatoriale.

Sia chiaro. Colombia continua ad essere il primo esportatore di Biancaneve nel mondo (e la Sicilia continua ad essere un ottimo approdo commerciale), e la sua situazione politica puó essere quantomeno criticata (non sicuramente da un italiano, che elegge per la terza volta el Padrino Pituffo, come lo ha definito un barista di Bogotá, piú informato sul mondo di Di Pietro & friends). Peró, posso giurare che parole come “regimi dittatoriali sudamericani” sono un tantino campate in aria, si.

Ció non accade nelle politiche (e societá) spagnole, francesi o inglesi, attive nel promuovere da queste parti ogni forma di cooperazione, intuendo il potenziale futuro di un Paese che sta crescendo di anno in anno e che sembra aver superato i suoi anni piú difficili. Come giustamente commenta Fla, in ogni cittá sudamericana c’é un centro culturale francese (Barranquilla conferma), e tra gli europei che arrivano in Colombia per turismo gli unici italiani appaiono a Cartagena, feudo della prostituzione low-cost.

Che aggiungere? Niente. Il post è scritto, mi faccio una bella striscia di pura-colombiana e sono pronto a scendere per le strade di Bogotá, con il fedele kalashnikov a tracolla. Se voi volete seguir l’esempio colombiano, fatelo cosi.

Terrone chi legge


29 Apr

golly.jpgRazzismo alla colombiana. Il bianco è razzista col mulatto che a sua volta è razzista col negro che a sua volta è razzista con l’indio. Inutile aggiungere che per proprietà accumulativa il bianco è anche razzista con l’indio col negro e col biancosporco. Mentre l’indio non è razzista con nessuno, non può permetterselo: è indio. O, chi lo sa, sottosotto anche lui odia l’indio diversamente indio. O gli esquimesi, tutti.

Sta a vedere che alla fine siamo tutti terroni. Si, perchè qua in mezzo a noi c’è uno svedese, e allora siamo tutti terroni. In estate però lo svedese viaggerà per la Jamaica, e allora sì che lì il terrone sarà lui. E anche il mulatto e il biancosporco e l’indio (povero indio, sempre lui).

Se non riesci a trovare il senso di tutto questo non preoccuparti: l’idiota non sei tu.

p.s. foto rubata a Alias “Eulogist”.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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