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Per quanto me ne intendo


06 Nov

Tra il 2009 e il 2010, per un paio di semestri, mi è capitato di insegnare la lingua italiana in un’università colombiana.
Il lavoro più inutile del mondo, a quanto pare. Vanificato e azzerato dalle logiche perverse che stanno dietro alla “lingua”, quando questa viene convertita in strumento politico.

Tra i miei studenti – “clienti”, secondo il linguaggio in uso in quell’ateneo privato – c’erano ragazzi con cognome italiano, studenti di storia dell’arte che sognavano di vedere Firenze e Venezia, ma soprattutto c’erano studenti del terzo millennio che, come tutti i loro colleghi qua e là per il mondo, ambivano a passare un semestre universitario in Europa, attraverso le decine di programmi di interscambio esistenti nella nostra epoca globalizzata.

Il grande inghippo, anomalia nel sistema, era rappresentato da Dante Alighieri. Non il Sommo Poeta padre della lingua, ma i suoi nefasti discendenti più lontani, l'”Istituto Dante Alighieri di Bogotà“, che avrebbe dovuto certificare le competenze linguistiche, per autorizzare la procedura di richiesta del visto (nota bene: non per autorizzare il visto, ma per autorizzare la procedura di richiesta del visto, da inoltrare presso l’italica ambasciata). Uno studente colombiano che avesse voluto richiedere il foglio per studiare in Italia, avrebbe dovuto presentarsi a Bogotà (non esistono sedi decentrate), pagare 100 US dollari, e sostenere un “test d’ingresso per il Livello C1”. A niente sarebbe servito addurre motivazioni di carattere logiche (“il motivo del mio viaggio in Italia è proprio lo studio della lingua italiana”), o allegare le lettere di accettazione standard che gli atenei italiani inoltrano agli studenti vincitori di borse di studio tipo Erasmus (“si precisa che tutti gli studenti stranieri beneficeranno di un corso di lingua gratuito”). L’ambasciata di Bogotà, in materia di visti per motivi di studio, è chiara: anche se  lo scopo del viaggio è lo studio, è necessario sostenere il “test d’ingresso”.

Il cinismo trova però la sua massima espressione nel momento in cui il malcapitato studente colombiano si trova di fronte al test in questione, e deve sottolineare in ogni frase l’opzione corretta. Per esempio:

1)    Non ho dubbi che Marco sia/è il miglior specialista in materia.
2)    Per quanto me ne intenda/intendo, è stato un bel concerto

A questo punto, di fronte alla mail dell’ex-studentessa colombiana che scrive chiedendo un’opinione sul suo esame appena sostenuto, si leva lo sconcerto. Quattro italiani, laureati in materie umanistiche, discutono per due giorni le varie soluzioni. Alla fine è un tomo polveroso, una grammatica italiana dalle pagine ingiallite, a decretare le risposte giuste – o meglio, quelle meno sbagliate.

La risposta giusta, l’unica possibile, afferma che è triste vedere come la lingua venga prostituita da becere logiche di pseudopolitica. Di fronte alla “necessità” (?) di limitare il numero di ingressi di stranieri in italia, si pretendono competenze linguistiche che l’80% degli italiani “veri” non possiede.

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29 Nov

In questo articolo un noto profesor de italiano del Tropico riflette sull’aiuto gesuita tributato ai bisognosi.

Cara università ti scrivo


11 Dic

Caro Sig. Baltic Man,

Mi scuso per il ritardo con cui le rispondo, ma una serie di impegni di
famiglia (non previsti) e di lavoro (previsti), cui si è aggiunto anche il
cambio di computer all’università, con scontate conseguenze sul ricevimento
delle email (ovviamente anch’esse non previste, e pare che i guai ancora
non siano finiti), mi ha costretto a procrastinare i miei obblighi nei
confronti di tutti i corrispondenti, sicché solo adesso riesco lentamente a
emergere. Per il suo caso specifico (ovvero l’anticipazione di una parte
della trafila burocratica, come lei mi chiede) non posso fare nulla, perché
contrariamente agli studenti Erasmus per i quali è prevedibile, e quindi in
un certo senso in qualche modo anticipabile l’iter che dovranno percorrere,
per quelli del CINDA invece, per quanto ne ho capito (finora le richieste
sono state poche), ogni curriculum è un caso a sè stante, e soggiace a dei
criteri valutativi che vengono espressi da una commissione rettorale della
quale almeno finora non fanno parte i delegati alle relazioni
internazionali delle singole facoltà. In pratica noi riceviamo gli
incartamenti a cose fatte e spesso nemmeno quelli, in quanto per la sua
particolare tipologia lo studente CINDA (o per lo meno quello che si
iscrive a Genova) si rapporta direttamente con gli uffici centrali per
quasi tutto. Noi invece gli forniamo il supporto informativo per quanto
riguarda esami, lezioni e via dicendo assieme al relativo “iter”. Spero di
essere stato abbastanza chiaro, ma se ci fossero altre questioni continui a
scrivermi: le prometto che, contingenze dela vita e di lavoro permettenti,
sarò più sollecito nel risponderle. Cordiali saluti.

(risposta odierna a una mail che inviai nel gennaio 2008).

Darius – o David – ovvero: in ogni villaggio c’é uno scemo


07 Mag

milhouse.jpgUna grande nuvola nera segnala l’incombere di queste presenze costanti. Le folle si ammutoliscono, e i piú saggi si allontanano. C’é chi sostiene che anche gli uccelli smettano di cantare.

Nei giorni piú freddi di Laisvés Aleja come nel forno a cielo aperto di un mezzogiorno caraibico, Darius – e David – vagano nell’aere con lo stesso costante obiettivo. Una volta individuato, non c’é via di fuga: essi si avvicinano con passo deciso, una luce accende il loro sguardo, piú in lá dell’inestricabilitá della loro complessa vuotaggine cronica e cranica. E’ il preludio. Quello che segue sono le stesse domande di ieri, in attesa delle medesime risposte dell’altro ieri. Dialoghi vuoti, dialoghi costanti, dialoghi pesanti cosí pieni di niente che irritano all’inverosimile. Mi immagino cosí le zecche dei cani. Con la faccia di Darius, o di David.

Certe volte, sorprentemente, Darius – o David – si spingono piú in lá del prevedibile:
Darius (o David): “…e senti un po’, non hai un account facebook o skype o msn?”
Baltic Man: “…no, non conosco queste diavolerie.”
Darius (o David): “come no! Ci permetterebbero di essere amici anche via internet”
Baltic Man: “io non sono tuo amico”.
Darius (o David), accusando la botta dietro l’occhiale ma rialzandosi come il miglior Tyson: “allora dammi il tuo numero di telefono”
Baltic Man: “Perché? Non voglio essere tuo amico”
Darius (o David): “no, cosi, magari possiamo vederci anche di sera, andare al cinema, o ti faccio conoscere tutti i miei amici, sono simpatici sai, e si chiamano tutti Darius, o David”
Baltic Man, sudando ghiaccio: “ah. certo. 301…”
Darius (o David): “Ma questo é il numero dell’altro italiano, ce l’ho giá”
Baltic Man: “Ti sbagli, é il mio. Chiamami pure, questa notte, verso le 3”. E fugge.
Darius (o David), affannato, ricordando l’immagine di una sposa incinta al decimo mese che saluta l’amato sul treno che lo porta alla guerra: “…a stasera, amico mio”

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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