L’aria calda dal bocchettone metallico della stufa mantiene una temperatura costante nella stanza.
La nebbia sulla valle, lì nella finestra, disegna un paesaggio in costante movimento che rimane metafora di qualcosa di non detto.
C’è legna nel cassettone.
C’è legna e tabacco di qualità per affrontare il pomeriggio, la notte, l’esistenza.
Piove.
Piove sempre, in questo Tempo del Monsone.
Il mondo è entrato ormai nella sua zona notturna: sul parallelo 45, nella luna di Novembre, l’arco di luce tende verso un rapido oblio. È tempo di buio, è tempo di letargo, è tempo di aver tempo.
Dall’altra finestra osservo i gatti sul tetto.
Si spostano controvoglia, tornano da una quotidiana ronda senza troppa convinzione, si portano appresso l’odore del bosco.
Il rombo del fiume racconta una storia oscena, là sotto.
Suona il telefono e nessuno risponde.
Si accende la mail, la voce del mondo.
‘Potresti venire da noi, domani sera, alle sei’.
‘Dovresti chiamare lui, per organizzarci, chissà ‘.
La voce dell’inverno ha un messaggio solo.
Una presa di coscienza di fronte alle incombenze del cielo:
Probabilmente hai ragione tu, avete ragione tutti, ma oggi io non posso, oggi io non devo.
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Oh.
Apprezzo la stragrande maggioranza dei tuoi articoli, Sandro, ma questo – questo mi arriva più intenso degli altri.
È la poetica di quel legame tra Uomo e Natura, tra Uomo e Stagioni, che sento di voler ritrovare da anni ormai: quando ne parlo, però, nessuno pare comprendermi.
(Sai che c’è? C’è che forse ne ho sempre parlato con le persone sbagliate).
Questo tuo articolo, nella sua fluida bellezza, è anche riuscito a farmi sentire meno solo.
“La nebbia sulla valle, lì nella finestra, disegna un paesaggio in costante movimento che rimane metafora di qualcosa di non detto.”
“Un paesaggio in costante movimento che rimane metafora di qualcosa di non detto.”
Non ho davvero altro da aggiungere, se non un grazie.
E.