Archive for settembre, 2012

Đá


26 Set


avrei voglia di parlarti solo se tu fossi un’anima bianca,
un qualcosa che vola leggero.

fabrizio dice che quando i bambini sono bambini sono tutti rotondi,
sono una sfera di pietra che ruota su un piano inclinato,
una forza misteriosa ma poco importante da decifrare muove la superficie, in ogni momento.
e i bambini-palle-di-pietra rotolano in un’altra direzione, poi in un’altra ancora.
sono biglie impazzite, niente gli importa.

dice anche che i bambini non sono più bambini quando iniziano a scolpirsi da soli i fianchi,
quando determinano un sopra e un sotto da approfondire e rispettare,
poi un dietro e un davanti ognuno con le sue determinate caratteristiche
e certi colori, mai invertiti.

poi ogni esperienza una martellata,
e in ogni facciata contro gli altri blocchi di pietra
[ormai quadrateggianti, geometrici]
volano via pezzi di schegge, di pietra che non c’è più.

l’immagine si compone
la martellano i pensieri, le convinzioni, la filosofia.
segue il bozzetto dell’esperienza
delle illusioni che diventano ghiaccio tra le fessure
e anche il vento e la pioggia modellano la roccia.

il blocco di pietra alla fine è una statua.
rigida, ferma, compatta.
la fissità nel tempo sarà al proiezione di un’antropomorfa eleganza
di un agghiacciante delitto
che ha impedito a quella pietra
di continuare a rotolare.

 

 

Peste: nirvana?


20 Set

Cammina a passi verdi, linea intermittente sul grigio dell’asfalto. La linea è quella che divide la pista ciclabile dal marciapiede, il marciapiede dalla corsia del tram, la corsia del tram dalla strada vera e propria, la strada vera e propria da…
…da un’idea metareale, da un’idea come un’altra, da un’idea.

Una parvenza d’illusione, un sano gusto di sbagliarsi. Di sbagliarsi ma di provare qualcosa, sentire il rimorso vibrare – come un arto fantasma – nella tasca destra dei jeans, sarà poi questo, vivere?

E intanto lei passa correndo, rabiosa y apasionada, rabbiosa e overappassionata, muove il vento sposta l’aria e non rispetta nemmeno la linea verdeintermittente sull’asfalto, corre e invade la pista ciclabile e il marciapiede, corre più veloce del tram e nemmeno la strada vera e propria la contiene più.
Lui resiste allo spostamento d’aria perchè semplicemente si accomoda, perchè anche lui è fatto di quell’aria che viene spostata. Non oppone forza solida alla corsa impazzita di quella nuvola negra. Ne intuisce il cammino, la segue da lontano. Allo stesso tempo invidia e rifugge quel vuoto improvviso che esplode contro la materia inerte della città. Quel vuoto improvviso che ha trasformato la distruzione in distrazione, la macchina fotografica in un feticcio, i vecchi progetti di rivoluzione in un lavoro a tempo part-time. E allora ripensa, ricorda, scava tra i grumi di polvere degli archivi sensoriali, in cerca di quell’immagine di lei che corre. Di lei che corre tra le offerte delle vacanze a Rodi, o sul parquet in vero linoleum della mostra di Monet, o gli slalom a bocca chiusa tra chi butta sull’asfalto pezzi di morte fumati fino al filtro.

E’ diventata continua, la linea verdeinerzia, adesso. E’ diventata strada. Sporca come l’asfalto, vera come il tram.

Amazonia 2.0


18 Set

Il nostro documentario “Amazonia 2.0” ha vinto il primo premio (sezione “Amerindia”) all’EtnoFilm Festival di Monselice (Pd):

Per lo sguardo sensibile con cui viene narrata la realtà di un luogo nella selva amazzonica ecuadoregna che, attraverso la forza collettiva degli abitanti, si riscatta nella trasformazione di vecchie utopie in nuove opportunità. Un vero messaggio di speranza che travalica i confini geografici.

Tornano in mente le energie spese, i km accumulati per spingere una barca nel fiume, per tirar giù un aereo dal cielo – l’aereo che dovrebbe riportarti a casa -, per raggiungere, avanti e indietro e avanti e indietro ancora, uno studio di montaggio 102 dodici stazioni più in là, i km a piedi dietro a chi ancora vive il territorio a passo d’animale.

Tutto ha avuto un senso, ma si sapeva già prima.

La piccola storia raccolta a Sarayaku si inserisce nell’album immaginario di centomila vicende sentite e mai reinterpretate, nella collezione di capolavori e controversie che ogni giorno accompagnano il viaggio tra i propri simili. Esci di casa e fai parte del film, sei un pezzo di storia nella storia della storia. Sarayaku, Sarayaku… Sarayaku è lontana, i nomi di chi ci abita significano “suono di selva” o “aquila del mattino”, e nessuno di loro ha la lettera “e” e la lettera “o” [l’alfabeto kichwa non le contempla]. Ma la storia che a Sarayaku si racconta è la Storia di sempre, ed è un discorso fatto di tentativi, capriole, intuizioni e coraggio.

Perchè raccontarla?
Per noia.
Per privilegio.
Perchè è vera.
Perchè in quei giorni un aereo non arrivava.

Come raccontarla?
Con tentativi.
Capriole.
Qualche intuizione.
Un minimo di coraggio, e anche un po’ di codardia.

[il film è costato poco, pochissimo. Due anni di lavoro e poco più. I debiti monetari, quelli ci sono ancora.
Se il discorso è l’autoproduzione, l’abbattimento delle barriere tra chi ha voglia di raccontare e chi ha voglia di ascoltare,
allora
forse
finalmente
l’Amazzonia siamo anche noi].

danzamacabar


11 Set

Una danza macabra

1
Lui sta seduto con lo sguardo fisso verso il piatto.
Sulla sua schiena, trent’anni di storia andata male, e una dignitosa discesa verso storie prevedibili.

Lui non è il suo uomo, ma potrebbe esserlo.
E’ il suo uomo, ma potrebbe anche non esserlo.
Lei forse fa la fisioterapista, ed è ormai uscita di casa.
Una storia d’amore impossibile con un bastardo qualsiasi, tutto ciò che lei vorrebbe. Lo dicono i suoi occhi, che si fermano contro il colore delle pareti, non riescono a superare la stanza. Lo dice la sua pelle, il leggero tremito che la pervade.
Si guardano.
Non si toccano.
Si guardano, e non si toccano.
Stanno insieme da quattro anni.

2
Anche lui sta seduto tra i tavolini del bar.
Un po’ più in là, vicino al frigo dell’antica gelateria del centro.
E adesso?,
lei gli chiede.
E adesso.
Abbiamo appena fatto l’amore.
[o era solamente sesso? O era violenza? O un antidoto. Un antipulci].
Hanno appena fatto l’amore, e sulla torre del duomo suonano le campane.
Domani bisognerà andare a conoscere quei musicisti, svegliarsi alle nove, e ricordarsi di prendere il pane, prima che i negozi chiudano.
E adesso, francamente, non si sa cosa significhi.

3 bis
Lui intanto continua a parlare.
Proprio qui, davanti a me.
E’ seduto al mio tavolino.
Sta inequivocabilmente parlando con me – o quantomeno, “a” me.
Ho dovuto lasciarla perché mi sono reso conto che potevo desiderare un’altra, mi capisci.
Non capisco. Continua.
Credo che l’oggetto del tuo amore debba includere tutto. Lei deve essere la mia confidente, la mia amica, la mia bambina, la mia puttana, la mia amante, la mia compagna di carezze, la madre dei miei bambini, il volto dei miei desideri, tutto.
E se manca uno, uno solo di questi elementi?
E’ la fine.
Appunto.

6
Lui. Non c’è. E’ una voce rinchiusa in quella scatoletta nera.
Lei gli parla addosso. Quando la conversazione si scalda, le si illuminano leggermente di rosso gli angoli della fronte.
La telefonata dura da qualche minuto ormai. Per la prima volta però sento quello che dicono.
Quello che lei dice.
Quello che dice lui, è bello immaginarlo.
Non lo so: non ti sembra che in un certo modo
tutto sia già stato detto
e tutto sia ancora da dire?

Forse tutto è stato solo sussurrato.
Forse si ha paura a iniziare a gridarlo.

Il calendario balinese suddivide il tempo in unità definite non per contarle e sommarle, ma per descriverle e caratterizzarle


09 Set

Vuoi il mondo in dimensione-bottiglia, un giocattolo di fiammiferi e pezzi di stoffa da tirar su sotto la gabbia di un cielo falsamente trasparente – è trasparente solo di notte, e solo in parte. La concezione tantrica dell’universo come forma sintattica, il profumo di merda di vacca a svegliarti al mattino, le posate conservate in un sacchetto di cellophane dove c’è scritto “rispettiamo il pianeta – queste posate sono al 100% biodegradabili”, e la questione ti spaventa, ti spaventa la totale biodegradabilità delle posate e dei tuoi denti, ti spaventa il mattino incipiente a rovinare il profumo di letame di merda di vacca, ti spaventa l’idea di una forma sintattica in una concezione tantrica di universo. Urge riflettere, è tempo di ridimensionarsi, è il momento di esagerare, Mickey e Mallory lì sullo sfondo del desktop – e sembrano la fotografia di te adolescente, una fotografia scattata nel 2003 o 2004 suppergiù, quando c’erano ancora i numerini della data in pixel rosso tatuati nell’angolo in fondo a destra. Sette pannelli aperti su mozilla firefox  13.0, posta in arrivo e un po’ di illusione di attività, la solita finestra biancoblu, una pagina sulla scienza misteriosa dell’i ching, un hotel a Barcellona su http://www.venere.com/it/spagna/barcellona/, una mail di fabrizio che arriverà non appena leggerà questo post, un pdf che non si scarica perché non servirebbe a niente.

Che cos’è la postmodernità? Andare in giro nudo, e non avere freddo. E non avere freddo. E non avere freddo. E non avere freddo.

quel che


07 Set

non per illuderci
né contraddirci
né accontentarci.
non solo per ritrovarci
e nemmeno per bastarci.

Tanchi – Autoritratto


05 Set

è uno sguardo silenzioso nella creazione artistica del maestro tanchi michelotti.
sull'immagine e sull'immagine in movimento regna la finestra, 
pezzo di vetro, 
spazio di luce, 
filtro prospettico che separa i colori degli spazi conosciuti
da quello che sta "fuori".
tanchi dipinge e si racconta. 
tanchi si dipinge e racconta. 
come un bambino puro che si consegna ai misteri del gioco, 
come un uomo di grande coscienza che si chiede cosa significa 
quel che per mano della sua mano appare.

dall’altra parte della finestra,
parole e immagini si compongono si sovrappongono si cancellano.
quel che ne esce è un video
tracciato grezzo col tubetto sulla tavola di compensato.
insegue il pennello, dà un colore a un’idea.

Carmelo Bene


01 Set

“Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna. Io sono un cretino che la Madonna non l’ha vista mai. Tutto consiste in questo, vedere la Madonna o non vederla. […] I cretini che vedono la Madonna hanno ali improvvise, sanno anche volare e riposare a terra come una piuma. I cretini che la Madonna non la vedono, non hanno le ali, negati al volo eppure volano lo stesso, e invece di posare ricadono. […] Ma quelli che vedono non vedono quello che vedono, quelli che volano sono essi stessi il volo. Chi vola non si sa. Un siffatto miracolo li annienta: più che vedere la Madonna, sono loro la Madonna che vedono. E’ l’estasi questa paradossale identità demenziale che svuota l’orante del suo soggetto e in cambio lo illude nella oggettivazione di sé, dentro un altro oggetto. Tutto quanto è diverso, è Dio. Se vuoi stringere sei tu l’amplesso, quando baci la bocca sei tu. […] Ma i cretini che vedono la Madonna, non la vedono, come due occhi che fissano due occhi attraverso un muro: miracolo è la trasparenza. Sacramento è questa demenza, perché una fede accecante li ha sbarrati, questi occhi, ha mutato gli strati -erano di pietra gli strati- li ha mutati in veli. E gli occhi hanno visto la vista. Uno sguardo. O l’uomo è così cieco, oppure Dio è oggettivo. […] I cretini che non hanno visto la Madonna, hanno orrore di sé, cercano altrove, nel prossimo, nelle donne – in convenevoli del quotidiano fatti di preghiere – e questo porta a miriadi di altari. Passionisti della comunicativa, non portano Dio agli altri per ricavare se stessi, ma se stessi agli altri per ricavare Dio. L’umiltà è la conditio prima. I nostri contemporanei sono stupidi, ma prostrarsi ai piedi dei più stupidi di essi significa pregare. Si prega così oggi. Come sempre. Frequentare i più dotati non vuol dire accostarsi all’assoluto comunque. Essere il più gentile dei gentili. Essere finalmente il più cretino. Religione è una parola antica. Al momento chiamiamola educazione”.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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