Ti danno una vita impregnata di benzina e non ti lasciano usare l’accendino.
Vietato fumare, vietato accendere il fuoco, vietato.
Eppure l’odore del benzoato è lì, come una droga impressa nelle narici, una sgradevole sensazione di nausea che altro non è se non il corpo che si usura, che si consuma.
Archive for febbraio, 2011
Il pieno di super
Vaticalia news 24
Noto con preoccupazione che in questi giorni le grandi questioni insolute del nostro paese si mescolano tra loro. Per dire: accendi la tv e ti spiegano che fabrizio corona è entrato passando da una finestra in casa di sarah scazzi da avetrana mentre la mamma guardava in televisione che hanno ritrovato il corpo di quell’altra, nel bergamasco. Il risultato è che mia nonna non ci capisce veramente più un cazzo, fa fatica a star dietro alla situazione e ad avere un opinione personale, da un momento all’altro si aspetta di trovarsi lele mora tra gli invitati di quel festino che uccise la ragazza del delitto di perugia.
E’ preoccupata, mia nonna. E visto che non si può star dietro a tutto (ha anche una vita, lei), deve per forza lasciar da parte eventuali approfondimenti sul fatto che il premier dovrà presto difendersi da tre processi niente male, o il fatto che il maestro di sci del premier, attuale ministro degli esteri di questa Repubblica, conosca gheddafi solo per quel bel ricevimento a base di 500 ragazze seminude che gli tributarono qualche mese fa, a Roma.
E’ veramente misterioso, l’algoritmo del nostro sistema informativo, qua a Vaticalia. L’altro giorno, per esempio, mentre attendevo un treno, sento alla radio di quell’uomo di ottantasei anni che è stato appena condannato a nove anni di reclusione per omicidio volontario. Sua moglie, all’ultimo stadio del morbo di alzheimer, era ormai una visione raccappricciante e indegna, per lui che ci ha vissuto un’intera vita insieme, e non ha potuto fare altro che aiutarla ad andarsene.
Poche ore dopo, mentre aspettavo un altro treno, nel bar della stazione c’era un tg. Una di quelle cose dove c’è una persona che ti spiega quello che dovresti sapere, e non ti lascia esprimere la tua opinione. Questa donna introduce così la notizia: “e adesso un caso che farà discutere, che lascia un po’ di dubbi sulla nostra giustizia [la stessa, ricordiamolo, che dovrà giudicare l’Ingiudicabile]. Un uomo è stato condannato a nove anni di reclusione [io che smetto di mangiare e strabuzzo gli occhi] per una colpa discutibile, ma infamante: omicidio”. Rimango col panino sospeso a mezz’aria, non ci credo neanch’io. Stà a vedere, dico, che questo paese è improvvisamente cresciuto. Che si riscopre improvvisamente pronto per parlare di diritti civili, abbastanza forte per contrastare l’arretratezza ideologica espressa da quel vecchio nazista col cappello a punte bianche, a Roma. E chi ti appare in video? Un tabacchino bresciano, con la tipica faccia da tabacchino bresciano, che ti spiega che qualche anno fa tre ragazzi sono entrati per rubargli duemila euro, e appena se ne sono usciti lui ha imbracciato il kalashnikov e gli sparato alle spalle, abbattendone uno. Legittima difesa, “bisogna rispettare la gente che lavora”.
Di fronte a tutto questo, però, il cruccio più grande, per mia nonna, è sempre lo stesso. Che fine avrà mai fatto mike bongiorno?
Energie eteriche
Secondo voi perchè la gente ascolta quel genere di radio che ascolta?
Dite che sarà per quella vecchia storia dell’abitudine, o del contorno sonoro in stile tanto-uno-vale-l’altro, quel che conta è un elemento di disturbo, qualsiasi cosa, pur di scongiurare la diabolica idea di un attimo di solitudine, meditazione, riflessione, eccetera?
Voglio dire: l’altra sera attraversavo in macchina la solita provincia deprimente, là dove i capannoni prefabbricati sono sorti come funghi – e le insegne degli stessi sono disegnate con paint, ma non è questo il punto. Beh, il punto è che alla radio suonava un jazz meravigliosamente carico, riempito da astruse sonorità digitali che coloravano di verde fosforescente la massa calda delle dita sul legno. Un quartetto russo, dice la speaker. Contrabbasso pianoforte batteria e una diaboleria elettronica. Sonorità entusismante.
“E adesso ascolteremo un po’ di rap kazako. La musica di questo artista è frutto della bolla economica che ha anestetizzato la capitale Astana, ma in generale è la caratteristica timbrica a fare di lui una voce particolarmente interessante. Ascoltiamo.
I capannoni prefabbricati assumono forme grottesche. Con il tempo però tutto fluisce verso il cielo, verso il nero sbiadito dalla luna, verso le montagne là dietro, imbiancate. Stiamo ascoltando, adesso, Scarlatti. Un pezzo “più che mai contemporaneo”, visto che ha ispirato…[segue lista]. Poi viene il groove di Calle 13, un coro di voci bulgare accompagnate da una sezione ritmica afrocaraibica, e un quadratissimo pezzo rock di inizio anni ottanta, qualcosa di irlandese.
Avanza l’asfalto, e niente pubblicità . Niente voci diabetiche e penetranti, niente gallinacce che cantano rime scontate. Niente “auto dei tuoi sogni”, niente shakire o lady gaga, niente jovabue o liganotti o questa brodaglia di residui discografici che vengono somministrati a dosi da cavallo su un pubblico ormai drogato.
Solo illuminanti discussioni intorno agli aneddoti di Garibaldi a New York, o interviste al taxista italiano di woody allen, o letture dai classici greci in diretta dall’Etna, dove furono scritte, duemilacinquecento anni fa. Ma anche David Riondino che legge la sua ode alla soglia, Stefano Bollani che lo accompagna mentre esco ormai dall’autostrada, non riconosco i luoghi intorno a me, tutto è diverso. Telefona il pubblico da casa, nessuno grida nessuno insulta nessuno chiama per vincere una maglietta, telefona perchè ha letto un gran bel libro nel 1972 e vorrebbe sapere se esiste ancora, o per segnalare un certo video su youtube, o per dire che il concerto dell’orchestra rai di ieri sera ha lasciato i brividi.
Radio tre è l’unica vera grande soddisfazione rimasta al settore delle comunicazioni italiane – oltre a questa storia di mike bongiorno latitante, ben s’intende. Stupisce quindi che pochi la conoscano (beh, in realtà , no. Non stupisce per niente). Pochi ma buoni, diversamente udenti.
Amazonìa 2.0 – teaser
Un assaggio del nostro documentario in gestazione. Il tema è quello di Sarayaku, che vuol dire tutto e vuol dire niente, ma soprattutto vuol dire tutto.
AMAZONIA 2.0
Ideato da Maria Cecilia Reyes, Alessandro Ingaria, Sandro Bozzolo
Prodotto e montato da Max Chicco
Co-prodotto da Eriberto Gualinga
L’aquila e il topo
“Anche per gli animali, tra loro, il mondo può essere molto diverso”, disse il vecchio saggio ai ragazzi seduti di fronte a lui. “Ci sono i topi, con il loro sguardo da topo, gli occhi sempre rivolti verso il basso, il fango, verso le piccole cose della terra. E poi ci sono le aquile, che osservano tutto dall’alto, distaccate. Per loro i topi fanno parte di questo tutto.”
GeografÃa de una locura
Queda tendido bajo nuestros pies
Hilo metálico que enreda tierra y mar
Puente suspendido sobre el mundo de los demás
Como arañas caminamos
Cazadores encierrados en nuestras mismas trampas.
Se vislumbra la sombra desde el pavimiento
LÃneas infinitas entrelazadas geométricas
Mapas de sentimientos, iguales y contrapuestos
Por cada esquina hay un encuentro
Y entre los encuentros, sólo queda un gran vacio.
Y donde están el cielo y la tierra
donde se encuentran los polos y las estrellas?
Dicen que numeros y grados se convierten en lugares
Dicen que hasta el whiskey puede volverse medicina.
Funciona asà la geografÃa de una locura
donde la lejanÃa es valor absoluto
y minutos y meses son tierra por pisar.
Funciona asà el viaje de los navegantes.
encuentros y despedidas, enfermedad de amar.
La ritmética du luv
Cos u l’é én luv u j’é nön ch’u lu sacia.
U sciort ëd nöcc. Ti pö nent vaglu.
Sentilu, forsci: në sfujaché,
én crack ëd rame rute, di bërzeji,
di müzi, di sciusci, di brami dë sböj…
E a la matén ti vëggh cos u-i manca:
na cua, le biele, në pciót.
U sangu grümlì u marca ‘l pass.
Ch’is multìplicon i luvi u va nent,
ma’s ti fò i conti u luv u l’é én gavé.
Én luv acó u l’ha semp u sagn menu.
Én menu ch’ti lu quént armanch ses vote.
Jë stropi ’d fé i sòn dma la vangardia,
ël manövre du luv jamont ën tus-cia.
U vö gnòci, chial-lì. Nostr sentiment.
Ma cos u é ’n luv ti pö ’maginetlu.
Ti lu sent a bugé drénta ogni strofa,
stërmà dal föje d’ogni d’ön di varsci.
U é pa na quénta. U l’ha pa ’d mural.
U é la ritmética d’én animal.
Nicola Duberti compone poesie in una lingua che pochi parlano e nessuno ha mai scritto. Lingua in via d’estinzione, perchè in via d’estinzione sono anche i suoi “portatori sani”, quella popolazione che l’ha parlata per secoli e millenni, e adesso svanisce nel calderone della massa informe. E’ la storia che noi si è cercato di raccontar per immagini, è la storia di Viola e del lupo.
La matematica del lupo
Che cos’è un lupo non lo sa nessuno.
Esce di notte. Non si può vederlo.
Sentirlo, forse: un calpestio di foglie,
un crack di rami rotti, dei belati,
muggiti, ansimi, grida d’orrore…
Ed al mattino vedi quel che manca:
una coda, le viscere, un piccolo.
Il sangue coagulato segna il passo.
Che i lupi si moltiplichino è il dramma,
ma a conti fatti il lupo è sottrazione.
Un lupo ha sempre il segno meno addosso.
Un segno meno alla sesta potenza.
Le greggi sono solo l’avanguardia,
le manovre del lupo su nel bosco.
È noi che vuole. È la nostra coscienza.
Ma cos’è un lupo puoi immaginarlo.
Lo senti muoversi in ciascuna strofa,
nascosto dal fogliame di ogni verso.
Non è una favola. Non ha morale.
È l’aritmetica di un animale.
La bocca del lupo
Eccola, finalmente.
La risposta ai grandi mali contemporanei. L’opera d’arte che stavate aspettando. La riscossa di un cinema nazionale tragicamente degenerato in nazionalpopolare. Un’esplosione di poesia, ma di quella semplice – quella più vera.
“La bocca del lupo“, sceso sulle nostre umili teste vidiotizzate senza scampo, ci riporta allo stato reale delle cose, delle cose di finzione. Cinema allo stato puro, nelle sue ambizioni più vere: raccontare la realtà , raccontare la storia, raccontare UNA storia. Tutto nello stesso momento. Ma anche, e soprattutto, scoprire, dipingere, colpire, commuovere. Il film del giovane Pietro Marcello raggiunge meravigliosamente ogni suo obiettivo, proprio perchè è nato senza obiettivi apparenti, in una panetteria tra i vicoli di Genova.
A Gianni Amelio, direttore del Torino Film Festival, l’onore di aver dato un senso alle nostre vite salvando dall’oblio a cui era destinata quest’opera – fino al punto in cui la suddetta risulterà effettivamente vincitrice, del TFF.
Un quaderno blu
…era il protagonista di mille racconti ma non lo sapeva, e così le sue storie restavano sempre senza un finale. Senza un finale logico, per lo meno. Rimanevano troncate a metà , mutilate nelle loro parti più importanti, proprio lì dove la trama avrebbe dovuto evolvere verso un qualcosa di concreto, una morale, per esempio. Semplicemente, non accadeva. Forse perché non esisteva nessuna morale, o perché preferiva rimanere occulta nella descrizione di un paesaggio (può un paesaggio nascondere una morale?), chi lo sa. Anche se, dopotutto, è possibile che non esistesse nemmeno una trama, in quel quaderno dalla copertina blu. Pezzi di un quadro ritagliati e sparsi su di un tavolo, di questo si trattava. Non un puzzle, perché i vari rettangoli – è questo l’incredibile – non incastravano per niente tra loro, non avrebbero potuto. Ogni pagina aveva un profumo diverso dalla precedente, c’era quella che sapeva a eucalipto e quella intrisa di vento di mare, c’era la patina del deserto mescolata con le spezie di Marrakech. C’erano pagine che odoravano a muffa, a stanze chiuse, ed erano quelle rimaste in bianco, sprecate.
…Il mal di schiena. Il mal di testa. Il mal d’altura. Il mal d’amore. Chi ha detto che il viaggio è una delizia, una leggera discesa verso l’oblio dei sensi? Il viaggio è vita, e la vita, sofferenza. L’equazione è quasi automatica: il viaggio è una trasposizione della sofferenza verso altri scenari.
“Un quaderno blu” è un tentativo di riflessione sull’inestricabile significato del concetto di VIAGGIO, scritto da Baltic Man sotto pseudonimo di S. B., e pubblicato da “La Caravella Editrice” in quanto finalista del concorso letterario “Si libri la mente” (avente tema, per l’appunto, il viaggio).
Chi fosse interessato a leggerlo tutto, può ordinare l’antologia completa (che tra l’altro, toh, è un libro di color blu).
Berlusconi siete voi
Berlusconi siete voi, che aspettate il treno delle 7.44 conversando amabilmente di clima e centri commerciali. Siete voi, che “porca puttana lo sciopero, arrivo in ritardo dal dietologo”. Voi, voi con i vostri carriarmati turbodiesel mentre portate figli griffati a scuola. Berlusconi siete voi, pensionati a 50 anni, che negli anni settanta preferivate andare al concerto di pupo. Siete voi che “non è vero, non è possibile, sono invenzioni della stampa”. E siete anche voi che “è vero, è probabile, sai cos’ha fatto l’inter?”. Berlusconi siete voi, troppo occupati per occuparvene, troppo liberi per impegnarvene, troppo furbi sempre.
Siete voi che leggete un libro ogni quattro anni, ma conoscete il segreto del successo e i nomi di quelli che contano. Siete voi, future mogliettine in coda per la comunione, mentre pensate che con un paio di tette nuove sareste persone molto migliori. Voi, così convinti che De Sica si chiami Cristian e non Vittorio. Siete voi, quando andate a Londra e la gente si gira per strada e dice “allora sono tutti così”. E siete voi che dopo il lavoro gerri scotti, dopo cena striscia la notizia, dopo striscia la notizia un’allegra vecchiaia.
Berlusconi siete voi, che tra vent’anni, quando Lui sarà solo un ridicolo ricordo, rinnegherete ogni responsabilità e darete la colpa agli altri.