Archive for agosto, 2013

Haiku Multitask


28 Ago

La fabbrica dismessa,

come un incidente del tempo,

assiste impotente all’alternarsi di Carlo Conti.

[quel che succede scrivendo didascalie con l’attenzione rivolta verso stimoli esterni di dubbia qualità].

Hobohemia is my place to be


19 Ago

No Hobos Any More

Hobohemia è la vita reale.
E’ l’incontro tra le genti, lo scontro, l’insieme delle strutture ridotto alla sola legge del buonsenso.

Se il paese muore, è anche un po’ colpa nostra.
Se non hai il coraggio di difendere, è anche un po’ colpa tua.

Hobohemia è musica, liberazione dalla musica, spontaneità.
Hobohemia sostituisce “il paese” con un senso più ampio e ristretto, individua la patria nella stanza di un amico o nell’inverno scorso, osserva riflette si abbandona e ci prova.

Hobohemia, mercoledì 21 agosto, sono un gruppo di ragazzi, emigranti o figli di emigranti, che riaprono la scuola elementare di Trappa, la stessa scuola elementare in cui forse studiarono i loro genitori, prima di andarsene via.
[Hobohemia è fatta anche di questo, della scheggia sotto la pelle di questa recente epoca in cui in italia circolavano i soldi, e allora venivano ristrutturate alla grande le scuole elementare, prima ancora di accorgersi che quegli stessi soldi si erano portati via i bambini che avrebbero dovuto riempirle. Hobohemia, mercoledì 21, sono questi ragazzi che per due settimane ritornano a Trappa, e si chiedono perché non sia possibile pensare di vivere lì.

Mercoledì 21 agosto, Hobohemia vorrebbe provare ad ascoltare, indurre a suonare, coinvolgere i nemici, e giocare a giocare. Senza pretese, perché i puristi dell’identità Hobo poi si offenderebbero, se l’obiettivo non fosse semplicemente il non avere obiettivi specifici, il vivere tutto come una poesia o forse solo come un antidoto alla noia, o forse era come disse Kepha, “tutte le sere, quando spengo la luce, parlo con Dio e gli spiego che io ho fatto la mia parte. Gli dico che ora tocca a lui”.

Il film racconta di un pezzo di vita vissuta pochi mesi prima, pochi chilometri più su, negli stessi boschi sopra la stazione abbandonata di Trappa. Racconta tutto quel che non si vede, e forse si intuisce solamente, perché una videocamera non potrebbe essere così potente: racconta di un filo invisibile tra una trascurabile valle nelle alpi marittime e un gruppo di giovani in andalusìa, un filo invisibile che parte da un’estate 2012 e arriva nell’epoca del leggendario West, quando l’occidente correva verso la sua frontiera.

Sono cambiati i tempi, e lo si capisce dalla percezione degli spazi.
Nel mondo descritto da Nels Anderson, le pianure sconfinate venivano tracciate da nuove ferrovie, solcate da città nate sul nulla che crescevano imperiose.
[Nella stessa epoca, a Trappa, il regno d’italia costruiva le sue ferrovie. La mano dello Stato raggiungeva le valli più isolate, pretendeva di ispirare fiducia e protezione].
Nel mondo captato dal film, le pianure sono diventate valli strette e boscose. I palazzi di granada sono tutti pieni. E quel che rimane vuoto, diventa invisibile.

Hobohemia, comunque, non è un film.
La sua immagine migliore prende forma con la musica, che non significa nient’altro che se stessa.
E infatti tutto avrà un suono, e il suono sarà l’incontro.

Per l’occasione Leonardo Lacarne, protagonista del film, quella stessa notte se ne tornerà a Granada.

Siamo la scia di lotte passate


10 Ago

 
Barber-shop

Un campeggio parrocchiale di montagna.
Tredici, dodici, quindici anni più tardi.
Suono impetuoso di torrente.
Forza longitudinale delle stelle: ritorno alla vita.

Incontri sporadici con l’esistenza, estati distanti
[estati distinte]
che si fondono nella patria solida di un’unica rugiada.

Kiki està aquì, como aquì estàn las atracciones fatales di mondi e modi diversi, lontani; l’incontro.
Cosa serve per avvicinarsi al sole?

C’è Herzog, c’è una borsa piena di sale, ci sono elementi di visioni future e morbosità passate che si fondono e si confondono, come se il cammino fosse una possibilità in conto terzi tra il salto di una cascata e un incipiente zigzag, la materia rarefatta dell’azzardo o un metodico percorso, il cammino sintetizzato in due concezioni diverse che entrambe si uniscono nell’immagine di un futuro in bianco e nero, le orme degli scarponi e l’eterno mentire dell’acqua.

Sono qui, nella sfida primordiale della materia artificiale che si insinua tra il mistero grottesco del destino naturale, e intorno a me c’è profumo d’incenso nel suono dell’erba, c’è l’osservazione distaccata e la pulsione dell’istinto, c’è l’illusione audiovisiva e il fotogramma bianco-incandescente del fulmine che la interrompe, ci sono tentativi di amicizia nelle loro infinite rappresentazioni, c’è il movimento e la pietra e il movimento rimasto incastrato nella pietra, e la pietra scolpita a simulare un movimento.

Pausa. Herzog, dai suoi diari nella selva: “Era mezzogiorno e c’era silenzio. Mi sono guardato intorno perché tutto era così immobile. Ho riconosciuto la foresta vergine come qualcosa che mi era familiare e che era dentro di me, e ho capito che l’amavo: ma in malafede. A quel punto mi sono tornate in mente le parole che in tutti questi anni erano rimaste a turbinare, a vorticare dentro di me: Arquebuse, lettera pastorale, novantuno. Cauterizzazione, mostro, pane della carità. Operoso, sposa del vento, massiccio. Solo in quel momento ho avuto la sensazione di poter sfuggire al vortice delle parole”.

Sento le ginocchia resistere, nonostante il peso dello zaino, che spinge.
[Non sono ancora passati due giorni da quando ho visto mio nonno al pronto soccorso, con il panico negli occhi di chi non riesce a seguire i discorsi dei medici, ma capisce comunque che il cervello ha deciso di cancellare una gamba].

Sento lo sforzo del menisco ma sento anche il lavoro del cervello, mentre si misura con una nuova idea di equilibrio, da mediare con il piano inclinato e imperfetto e pietroso.
Penso a Kiki, a ieri sera.
A quando ci siamo addormentati riflettendo sulla nostra condizione di privilegiati.
Stiamo vivendo – da quanto tempo ormai? – immersi nel lato luminoso dell’esistenza.
A Kiki non piace la parola “privilegiati”: sostiene che si tratta anche di responsabilità.
Abbiamo deciso di vivere fino in fondo, è questo il discorso.

Arrivo all’alpeggio e il pastore non c’è più.
Tre cani presidiano il territorio, iniziano ad abbaiare quando mi avvicino troppo al gregge.
Intuisco che la tattica migliore sta nel circumnavigare al largo l’alpeggio.
Esiste una linea immaginaria, che scatta quando i cani s’alzano in piedi.
Riesco a intendermela con i cani, finisco in mezzo al torrente.

Basterà seguire il corso dell’acqua per ritrovare il campo-base.

Bip.


01 Ago

Un re.

Verso l’alto.
Metà del cammino coperto dall’umido.
Acqua ovunque, come se anche le pietre si stiano sciogliendo in altra materia.
A metà cammino c’è un larice seicentenario, un monumento vivente all’annullamento delle funzioni vitali.

In cima, scenari imprevisti.
Un altipiano si nasconde con una sorta di insano pudore, mentre si spoglia al sole delle dieci di mattina.
La camera si accende da sola quando incontra alberi abbattuti dalle valanghe.
L’idea era filmare fiori, prima che la luna d’agosto appiattisca le differenze nei colori.
Ma laggiù in fondo, un tipo col metal detector.

C’è ancora molta neve nell’Alpe Marittima.
La comunità scientifica, i guardaparco, gli esperti, tutti sono indecisi sulla lettura del fenomeno.
Qualcuno sostiene che si morirà per un caldo a cui non si potrà più sfuggire, un caldo che laverà via tutto.
Un’altra teoria invece parla invece di una nuova glaciazione. Il cambio climatico soffocherà la vita attraverso il freddo.
In ogni caso tutto accadrà dopo il 2025.
E’ il 2025 il punto di non ritorno, prima dell’irreversibilità.

L’uomo col metal detector procede con le cuffie.
Quando il “bip” diventa più intenso la terra nasconde qualcosa di artificiale.

Anche l’uomo con la camera procede con le cuffie.
Quando il suono del vento diventa preponderante, il cielo suggerisce qualcosa di soprannaturale.

Cartucce sparate
monete sabaude
brandelli di lattine anni ottanta.
L’uomo col metal detector scandaglia, scava, raccoglie.
A vederlo da qua, pensa l’uomo con la telecamera, sembrerebbe una punizione.
Una condanna in stile dantesco: in cammino per l’eternità, sotto le nevi e le pareti immobili, a setacciare l’infinito.

Cinque stambecchi riempiono lo schermo della telecamera.
A vederla da qua, pensa il tipo con il metal detector, sembrerebbe un’esecuzione.
Il tipo della videocamera, armato del suo supporto metallico, sembra un killer implacabile, alle prese con animali che sono soprattutto corna e che rimangono immobili.
L’esecuzione di un boia condannato a togliere la vita a chi non presta attenzione a simili inezie.

Dalla montagna scende un tonfo spalmato su livelli di eco diversi.
Il metal detector registra una serie di vibrazioni sensibili che risalgono dal terreno.
Il microfono della videocamera capta il movimento del tempo sotto un’altra forma, onde sonore.
La neve ancora incollata alla roccia, sotto la molestia del sole di luglio, spezza un’altra pietra verso il tempo in cui la terra sarà nuovamente piatta.

Gli esperti di climatologia hanno di che dibattere, su questa massa che si divide.
E’ stato il calore della neve a provocare il crollo?
E’ stata la luce glaciale del sole a spaccare la pietra?

Il tipo con la videocamera ha spostato il raggio d’azione dell’obiettivo.
Nello schermo adesso c’è l’uomo col metal detector.
Sembra quasi di sentire il suo bip, in cuffia.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


Ricerca personalizzata