There was a time in which I used to be there

20 Apr

 

There was a time in which I used to be there

-il Mindino visto dal Far Away-

Brigata Anaïs

08 Mar

Hanno cambiato le luci elettriche. Hanno una luce più gialla adesso, una luce più calda. Ho visto il furgoncino, era messo là dove di solito si parcheggiano i gatti, là nella conca in cui scalda più il sole e si controlla tutto. Così hanno cambiato le luci e nel frattempo torna quell’odore di primavera, terra bagnata e calda, odore di primule.

Oggi ho perso il cappello e cercato una capra. Ho cercato una capra con le ragazze e i ragazzi di una banda partigiana, gente sveglia con cui ci si intende al primo minuto, ho cercato la capra sui luoghi della Resistenza. L’ho cercata mentre l’Italia cambia forma, mentre l’Italia non esiste.

Teresa dice che dovrei viaggiare, dice che dovrei tornare a viaggiare.
Ma viaggiando, dico io, ho perso il cappello nero e non ho trovato una capra.
Però viaggiando ho trovato le tracce di un branco di lupi, e ho visto un ubriaco gettarsi in un pozzo.
Ho conosciuto le Settimine, bambine nate al settimo mese, è rimasto loro un dono speciale addosso.

C’è una Settimina, Emma, rimasta lassù dietro la Custéra degli Argentini.
Riceve per venti euro o una forma di pane, ma il pane dev’essere buono, una forma intera.
È capace di leggere quel che non va e di esaminare la morte. È in grado di dire dove sono rimasti nascosti i segreti di chi è rimasto incastrato nel mondo delle tenebre. È in grado di dire dove sono rimasti nascosti i soldi nel muro.

Nelle cascine lì accanto può capitare di trovare un madàma, che organizza una bisca.
Giocano di giorno, giocano tutto a carte, perché i soldi non esistono.
Gliene sono piombati tanti addosso, tutti insieme dai sogni degli altri, ma loro di tutti quei soldi non hanno bisogno perché è gente che coltiva la campagna e prende da lì tutto quel che serve, e allora il resto dei soldi se lo giocano.

È tutto sospeso ed è tutto selvaggio ed è tutto aggrovigliato ed è tutto in rovina.
Ma allo stesso tempo è tutto incarnato ed è tutto sublime ed è tutto inutile ed è tutto facile.
Hanno cambiato le luci elettriche ma la sostanza non cambia.
Per un’ora o per sempre, tutto questo è esistito davvero.

Il signor Merlano

31 Gen

Il signor Merlano teneva accesa la linea del confine. Passava la cera tutte le notti, si occupava di sostituire, ogni volta, le lampadine. Non ci sono altri che lo possano fare, era solito dire il signor Merlano, ed alludeva allo spazzar di scopa così preciso sull’asfalto, alla linea sottile della polvere pettinata, all’odore di pulito che il suo passaggio lasciava su quella striscia di mondo. Dev’esser così avere una casa, pensava allora il signor Merlano, e quando iniziava a pensare a una casa ci metteva dentro una candela, una finestra accesa sul dentro, sensazione di caldo nella pianta dei piedi. Non si azzardava a metterci dentro una donna, il signor Merlano. Sapeva che le donne hanno i superpoteri e non c’è niente da fare contro i superpoteri, così le donne non servono e le donne non bastano e il signor Merlano diceva tutto questo e sapeva di mentire. Ma aveva bisogno di una bugia, aveva bisogno di quella bugia, per autoassolversi dalla colpa ingrata di non aver ascoltato tutte le sirene dell’apocalisse.
Spazzolava la linea del confine, il signor Merlano, e mentre spazzava la linea teneva insieme la notte, rimetteva in ordine il mondo, ripuliva lo spazio per un’altra contesa, un altro giorno sul pianeta, un altro giro sulla giostra.

viola. giorni della merla zeroventitre

Buonanno

31 Dic


Le parole sono chiodi a cui appendere idee
giocare sentiero rivolta femmina destino
luce attesa etica epica cammino
chiodi nel muro a sorreggere un’ipotesi
buchi nel legno, tracce di sé.

E il fine giustifica i mezzi ma rimane pur sempre un fine
la morte del percorso, l’antitesi del desiderio.
Rimane materia morta a ricordare l’agguato
rimane l’amaro in bocca, nello scoprirsi già lì.

La -n finale è l’esito di un’antica -t-

16 Dic

Nevica.
Nevica là fuori.
È notte ed è bianco ed è pieno di neve.
La strada che porta a casa,
la strada che porta alla mia casa,
non la riconosco più.

Ho viaggiato per il giorno e per la pioggia
ho viaggiato nelle terre del mare, dall’altra parte della montagna.
Ho inseguito le tracce di tutto quel che son stato
Ho inseguito le tracce di te.

C’è un pezzo di vita appeso intorno alla casa di un gigante
e una bidella in una scuola media, che mi offre il caffè.
C’è l’altra parte di me che cammina in un libro
e le verità più profonde che non scriverò mai.

Oggi ho insegnato ai ragazzini di una scuola media il succo del mio segreto
ho detto loro che per parlare davvero occorre prima perdere la voce,
rimanere muti di fronte al rumore degli altri.
Hanno riso sono rimasti sospesi sono diventati improvvisamente seri.
Hanno scritto su un foglio quel che si sente in un minuto
e poi sono stati loro a insegnarmi come si accende un fuoco:
con i detriti del tempo,
le macerie del Noi.

Nel frattempo ho un fratello in viaggio su un furgone,
da 14 ore,
sotto la neve.
Dorme nella piazzola di un autogrill con la febbre a 38, ma nemmeno questo interessa a nessuno.
La storia degli altri importa finché è parte del sé.

Nicola intanto risolve ogni dubbio e conferma che nella lingua violese c’è un fenomeno strano:
alle -i finali del piemontese, dopo -è aperta, corrisponde sempre una -n.
Ecco perché buřèi, “fungo”, diventa buřèn.
Ecco perché quéi, “quelli”, diventa quèn.

È la -T- che diventa -n- ed è una roba senza riscontri,
non accade così da nessuna parte.

Da nessuna parte, tranne nel dialetto mentonasco di Sainte Agnès.
Chissà se c’è la neve.
Chissà se c’è una strada,
laggiù.

Mai dei vostri

04 Dic
beppe fenoglio, ‘La paga del sabato’

Acquiescenza

18 Nov

acquiescènza s. f. [der. di acquiescente]. – 1. a. Consenso tacito o non pienamente espresso; condiscendenza inerte, remissività: a. a una decisione, a un’imposizione; l’a. rispettosa e pavida dei suoi sottoposti alimentava in lui la vanità; abusi commessi grazie all’a. delle autorità locali. b. Atteggiamento passivo, carattere remissivo: la sua naturale a. era stata interpretata come ipocrisia. 2. Nel linguaggio giur., accettazione espressa o tacita, totale o parziale, della sentenza del giudice, in processi civili.

 

Questa parola formidabile comunica un concetto con una sfumatura di un’esattezza prodigiosa. Quando si dice che la nostra è una lingua raffinata parliamo anche di casi come questo.

Per apprezzare questa raffinatezza va notato che l’acquiescente (è difficile anche scriverlo) ha una galassia di sinonimi: remissivo, accondiscendente, arrendevole, conciliante, accomodante, docile, sottomesso, e via e via. Ma il remissivo si rimette al volere altrui, l’accondiscendente vi aderisce, l’arrendevole alza le mani e cede, il conciliante e l’accomodante ne convengono, il docile e il sottomesso vi ubbidiscono. L’acquiescente ci parla invece di quiete.

Ce ne parla in una maniera precisa: il verbo latino quiescere è un incoativo, cioè descrive l’iniziare di un’azione – in questo caso l’acquietarsi, il calmarsi. Così l’acquiescente ci si presenta come la qualità di chi si sta volgendo alla quiete, e in particolare di chi, entrato in contatto con una volontà esterna, ne è tranquillamente persuaso, serenamente convinto, senza l’increspatura di un’obiezione, senza un pensiero ruvido o dissonante.

Un factotum acquiescente ai capricci dell’artista serve a costruire il personaggio; ci mostriamo cortesemente acquiescenti a una decisione, intendendo scambiare il nostro favore presente per un altro futuro; l’erede si dichiara acquiescente a volontà testamentarie bizzarre; per la piacevolezza della compagnia siamo così poco interessati al menu che ogni vivanda proposta ci trova acquiescenti; e dopo tanto crucciato pensare optiamo acquiescenti per l’articolo che ci ha consigliato il commesso suadente.

Nel bene o nel male, l’acquiescente è uno specchio d’acqua che si calma come se un immissario ne smorzasse l’agitazione. Non è certo un’immagine grossolana. E si vede in maniera lampante quale sia la differenza con ogni altro suo sinonimo.

Tratto da: https://unaparolaalgiorno.it/significato/acquiescente

Was bleibet aber, stiften die Dichter

23 Set

Ciò che resta, lo istituiscono i poeti.
I Poeti: in tedesco li scrivono con la D maiuscola.

Da dove viene il nome “Italia”? La parola alla Crusca

L’origine del nome è discussa e incerta. Non mancano le interpretazioni leggendarie, come chi lo vorrebbe comporsi dal fenicio “I-dah-yya”, la “terra che cresce al di là della Grande Montagna”. La Grande Montagna è l’Etna. Αἴτνη per i greci, e Jabal al-burkān per gli arabi.

Ma Italia dunque è un nome di montagna.
Il Poeta  parla dell’antica terra che si chiamò poi Italia, ma che ancora “il nome suo non l’aveva”. Parla di quelle tribù, “meglio che popoli”.

Tribù, meglio che popoli.
Le Tribù conservano il contatto con il fuoco.
I popoli, il fuoco lo hanno spento.

 

 

Ma oggi sono salito su un tetto e c’era il sole freddo ed era fatto di pietra.
Il tetto era fatto di pietra, al passaggio di un fiume di un antico marchesato,
marchesato alpino,
marchesato di montagna.

La convivenza del feudo della fabbrica idraulica delle case delle signore.
Le figlie dei principi suonavano l’arpa, per allietare l’inverno a chi era costretto attorno a un fuoco.

Le tribù conservano il contatto con il fuoco.
Gli esseri umani che diventano popolo, quel fuoco lo hanno spento.

Fratelli d’Italia di Germania e di Spagna
Fratelli di Lituania, sorelli del tempo.
Sulla metropolitana di Milano viaggiano i ventenni con barba e mascara.
Sulla metropolitana di Milano viaggia un’umanità in camicia, si porta dentro la memoria del fuoco.

Нарва

13 Set
Narva (in russo Нарва) è una città dell’Estonia nord-orientale, all’estremo lembo d’Europa, che conta 65.886 abitanti.

Gli estoni sono solo il 15%, mentre l’86,41% è di etnia russa. Questa anomalia si deve a quanto accaduto dopo il 1945, quando le autorità sovietiche proibirono il rientro della popolazione estone sfollata e deportata, dando priorità ai cittadini sovietici provenienti dal resto della Federazione. Quarantacinque anni più tardi, con l’indipendenza dell’Estonia, la sorte fu inversa: alla maggior parte dei cittadini russofoni è stata rifiutata la cittadinanza estone, in base a una legge che garantiva la suddetta a chi era residente in Estonia prima del 1940. Oggi, dunque, solo il 46% degli abitanti della città è di cittadinanza estone, mentre il 18% è a tutti gli effetti apolide. Con il 93% della popolazione di lingua russa, la città di Narva costituisce la principale enclave russofona nel territorio dell’Unione Europea.

Oggi, 13 settembre 2022, la città si prepara alle restrizioni dei visti che entreranno in vigore lunedì 19 settembre. A causa della guerra in Ucraina, il governo estone ha deciso di chiudere le frontiere ai cittadini russi. Il Ponte dell’Amicizia, che unisce la città di Narva con la cittadina gemella di Ivangorod, dalla prossima settimana sarà chiuso al transito turistico e commerciale.
Sulle due sponde del grande fiume Narva, in questa mattina di settembre in cui c’è già aria d’autunno, alcuni uomini dai capelli grigi stanno in acqua con i pantaloni di gomma. Sono pescatori di un lato e dall’altro, pescano il pesce in una stessa lingua. Si guardano ma non possono parlare, anche perché, sullo sfondo, l’imponente centrale idroelettrica di Ivongorod copre ogni possibile suono, con il suo lamento costante. Sui tabelloni pubblicitari, lì intorno, grandi scritte in cirillico invitano la popolazione a combattere la grande piaga dell’HIV. Nel primo decennio del XXI secolo, la città ha vissuto un preoccupante aumento dei contagi di questa malattia, con una media di 150-200 nuovi casi annuali.
Narva, dunque, si prepara all’inverno.
Il Ponte dell’Amicizia, in questo tardo 2022, rimarrà in silenzio su un fiume ghiacciato.

Colombia 022

24 Ago

Il 7 agosto 2022 Gustavo Petro è diventato il primo presidente progressista della storia colombiana.
I motivi di questo ritardo non sono solo politici: dal 1948 in avanti, ogni tentativo elettorale portato avanti “dal popolo per il popolo” è stato fermato con il sangue, generando l’anomalia regionale della Colombia nel contesto sudamericano: Bogotá è stata l’unica capitale a non aver mai sofferto un colpo di Stato, in quanto la lunga mano delle oligarchie, ampiamente foraggiata da Washington, ha sempre giocato d’anticipo, prima di arrivare urne.
Come se questo non fosse sufficiente, dal lontano 1964 sullo scacchiere politico colombiano sono entrati in gioco i movimenti di guerriglia, che con il loro linguaggio insurrezionale hanno delegittimato le istanze storiche delle sinistre. “Giustizia sociale”, “Riforma agraria” e “Riforma tributaria” per lunghi decenni sono rimasti concetti tabù. Il fatto di nominarli significava, per i partiti tradizionali, una pericolosa assonanza con i criminali delle FARC.

Tuttavia, molte cose sono accadute negli ultimi anni, e il nuovo governo è un esperimento particolarmente interessante anche e soprattutto perché poggia su ambizioni e visioni sensibilmente diverse rispetto alle sinistre latinoamericane del III millennio. Tramontata, tra luci e ombre, l’epopea chavista (ispirata a un ex militare divenuto presidente), con l’elezione di Gabriel Boric in Cile (febbraio 2022) è iniziata un’epoca nuova anche per la sinistra latinoamericana, che si potrebbe definire “post-ideologica”. Dopotutto, Bogotá è la capitale di un Paese solido e strategico, che nell’ultimo quindicennio ha conosciuto una fortunata stagione di crescita e di rinnovamento. La sua economia è diversificata e non è legata, come quella venezuelana o ecuadoriana, all’esclusiva esportazione di idrocarburi, mentre la radicata esistenza di una ben nota economia parallela (il narcotraffico) garantisce un flusso di denaro che viene comunque reinvestito nel Paese. Inoltre, con la sua posizione geografica privilegiata (una superficie vasta tre volte l’Italia, al centro del vasto continente americano), la Colombia rappresenta uno spazio troppo importante per essere lasciata nelle mani del primo caudillo alla deriva.

Le élite colombiane tutto questo lo sanno, e nonostante il loro giustificati timori, dopo una lunga decadenza della destra uribista, senza ammetterlo pubblicamente sono oggi disposte ad accordare un margine di fiducia al governo di Petro. Nel 2019, nel 2020 e nel 2021 le strade di Bogotá sono state teatro di violente e decise contestazioni, mentre in parallelo, nelle aree rurali, i popoli indigeni alzavano la testa anche se questo voleva dire persecuzione da parte dell’esercito nazionale. Per la prima volta nella storia colombiana, las minorías fino a quel momento escluse da una gestione del potere patriarcale e bianco-centrica hanno chiesto il loro diritto di rappresentanza. Mentre la crisi climatica metteva in risalto l’immenso patrimonio di materie prime di cui gode il Paese, mentre il modello-USA dimostrava in maniera inequivocabile le sue vistose crepe, l’intera società ha iniziato a interrogarsi circa la necessità di progettare una nuova Colombia.

Gustavo Petro, dunque. La sua traiettoria politica è il coronamento di una lunga traiettoria che porta oggi, per la prima volta, las disidencias al potere. Nato nel 1960 sulla costa Caribe, Gustavo Petro è un ex guerrigliero del gruppo universitario M-19. In seguito a un sanguinoso assalto terroristico compiuto proprio dall’M-19 nel 1985, Petro si è progressivamente allontanato dai gruppi insorgenti, per coltivare una solida opposizione parlamentare che lo ha portato, nel corso di quarant’anni vissuti in prima linea, a conoscere molto da vicino i meccanismi del potere e dell’azione politica colombiana. Gustavo Petro è dunque un intellettuale nel senso più autentico del termine, un economista serio e competente che non ha mai smesso di studiare il corpo sociale del suo Paese. Eppure, è anche un politico scaltro e determinato, abile a divincolarsi nelle maglie strette del potere. Con l’eccezione significativa di Fráncia Márquez, prima donna afro-colombiana a ricoprire il ruolo di vice-presidente, il suo governo (età media: alta) è l’espressione di un attento gioco di pesi e contrappesi, che si presenta al mondo con la giusta credibilità per proporre riforme ambiziose e storiche.

Nelle prime due settimane di governo, infatti, Gustavo Petro ha stupito tutti per la determinazione e la portata delle sue proposte. Forte di una maggioranza parlamentare anch’essa inedita, il suo governo ha immediatamente scoperto le carte, proponendo una profonda riforma tributaria per tassare progressivamente i grandi patrimoni, una riforma completa della polizia e dell’esercito, una maggiore tassazione del trash food o “cibo spazzatura” (bibite gassate, dolciumi industriali, fast food, etc) e un invito a discutere una progressiva legalizzazione delle “coltivazioni illecite”. Soprattutto, però, Petro ha sorpreso tutti con due proposte inattese: secondo la visione del suo Governo, la Colombia dovrà lasciare sotto terra gli immensi giacimenti di idrocarburi, e diventare un modello futuro per la transizione energetica impegnandosi a salvaguardare (insieme ai vicini) la foresta Amazzonica. La Colombia, da Paese produttore e consumatore di petrolio, dovrebbe dunque convertirsi in un laboratorio per la transizione energetica, salvaguardando il suo territorio privilegiato (l’El Dorado, per i conquistatori spagnoli) a beneficio dell’umanità intera.

 

 

La Whipala, bandiera dei popoli andini

 

Con le sue due coste oceaniche, con la contemporanea presenza di Cordigliere andine, bosco tropicale e Amazzonia, con la specificità derivante da ogni clima termico (ghiacciai inclusi), la Colombia è il secondo Paese più bio-diverso al mondo, al seguito del Brasile. Tuttavia, mentre in Colombia la presenza delle guerriglie su buona parte del territorio rurale ha avuto l'”effetto collaterale” di mantenere le selve incontaminate, nell’Amazzonia brasiliana il disboscamento procede a ritmi devastanti. Proprio ai vicini trans-amazzonici  pare essere rivolto il messaggio di Petro in questi giorni: se la società civile brasiliana saprà resistere al tentativo di golpe paventato da Jair Bolsonaro, la Colombia e il Brasile potrebbero diventare modelli mondiali per la conservazione di una biodiversità sempre più minacciata. Ed eventualmente, insieme agli altri governi latinoamericani allineati su posizioni comuni, lanciare una proposta storica per liberarsi definitivamente dalle fallimentari politiche di contrasto al narcotraffico imposte da Washington, per passare a modelli di legalizzazione progressivi, che consentirebbero di sottrarre l’economia degli stupefacenti (la terza al mondo, dopo sesso e finanza) alle mafie, per dirottare quelle risorse verso le casse statali.

La sfida è lanciata, la storia si muove su binari veloci. Sul sangue versato dai milioni di colombiani che negli ultimi decenni hanno creduto in un destino diverso prende oggi forma un progetto differente, che sarà decisivo per le sorti future di questo Paese imprevedibile, e magari, chissà, per l’umanità intera.

Diary of a Baltic Man

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