Archive for agosto, 2008

Una mirada hacìa atras


30 Ago

Viajar es libre melodía del alma. Es un grito silencioso, un animal migratorio, un lento existir. Una universidad donde los profesores son compañeros y los compañeros libros, allí se escribe y allí se lee. Es dejar rastros de un pasaje, sea algo inmortal o suave neblina. Ser en el mismo tiempo fotógrafo y modelo. Viajar es, los decía el Gran Khan, “tomar el agua de una tierra nueva”. Aprender a reconocer los distintos sabores del pan y del queso, de la música y de la poesía, despertándose una mañana tal vez panadero tal vez poeta. Endurecer la espalda en los suelos de autobuses llenos, llenando hojas bajo los ojos de una gordita que te cree sicópata, escribiendo contra el tiempo que viajar es encontrar tus origines allá donde menos pueden estar. Que es conocerse en Bielorrusia y reencontrarse en Armenia, una de las muchas Armenia de este mundo. Viajar es descubrir que hay otras Armenias. Es una forma hedónica del conocimiento. Una mochilla en una playa, una playa en una mochilla, una mochilla y una playa en la cumbre de una montaña. Viajar es Priviet diebucka let’s go together a quattro mani, si vous voulez, kita vakara sangrienta y fría. Es una estación de un pueblo lejano perdido y embalsamado, donde en sus binarios todo comienza y todo termina. Una comunión pagana y un dedo medio hacia las convenciones. Una religión sin fieles ni dioses, sin guerras santas ni diablos imaginarios, sólo una grande misa continua contra diablos disfrazados de palabras venenosas como “Patrias” o “Naciones”. Viajar es una aventura que se cumple en un cuarto, transformando la ventana en ventanilla y las hormigas en animales exóticos, para una hora una vida o quizás dos. No es Baltic Man, ni Caribbean Man, sino una entidad que se cumplirá, un día, en Atlantis. Viajar es despedirse de este Mar de Caribe, de este Sur América, de este todo.

Viajar es abrir una ventana sobre el mundo. Es la curiosidad de llegar donde terminan las carreteras. Descubrir que se esconde mas allà de las montañas. Atreverse hacia el imprevisto. Aceptar el desafìo del desconocido para alcanzar las orillas de la tierra.

Viajar es perderse, sacerdotre solitario, en un exilio voluntario, y encontrar en el camino amigas, amantes, novias, concubinas y putas, hasta reconocer en dos ojos, finalmente, la verdadera Compañera de Viaje.

¡Alò Presidente!


26 Ago

Niente e nessuno può spiegare il Venezuela odierno meglio che lo stesso faccione del Chàvez, rossovestito tra i rossovestiti, nella sua consueta Messa dominicale davanti a selezionati e adoranti adepti. Alò Presidente, che già rinfrescava i duri risvegli delle mie domeniche mattine colombiane, non è però nient’altro che uno tra i fattori nuovi di questa Rivoluzione Bolivariana Socialista che imperversa nel Venezuela odierno.

Le privatizzazioni.
Dal petrolio alle industrie agroalimentari, dall’energia al cemento (storia di due giorni fa, fresca), la tendenza a rendere pubblico il bene privato è una realtà chavista che solo la storia approverà o condannerà.

Il Bolìvar Fuerte
Probabilmente la manovra più oscura del “Ministerio del Poter Popular para la Economia”. Una valuta che da un giorno all’altro perde tre zeri, nuovi fogli e spicciolame e nuova confusione, e un controllo “totale” della valuta estera che può entrare e uscire nel Paese. Con la costante, conseguente, assurda impennata del mercato nero, che impenna il cambio Bolìvar-Euro (ufficialmente a 3.3) fino a un impensabile 5.0, negli oscuri anfratti dalle faccie losche. Felice il turista straniero euro (o dollaro) dotato, meno felice il Venezuelano che vuole uscire dal Paese. Filosofia-Castro travestita con altri panni.

La propaganda
E’ sulle strade, nelle piazze, ovunque. Il pannellone rosso e gli slogan vari, subliminati da cartelli stradali che mischiano un “guidate con prudenza” in questo Venezuela che “ahora es de todos”. A caratteri cubitali.

Il ruolo internazionale
“Pericoloso” per alcuni (soprattutto in Colombia), “Esemplare” per altri, questo Venezuela del XXI secolo effettivamente è la voce più grossa dell’America latina, siano valori nuovi o colossali vaccate. E’ indiscutibile.

La gente
Piuttosto divisi tra Guelfi e Ghibellini, la risposta dei Venezuelani a questa rivoluzione che non proprio hanno voluto è netta. Se molti vedono con preoccupazione il loro futuro e invitano i metafilosofi delle varie sinistre internazionali a vivere per un periodo da venezuelano per provare sulla pelle il Socialismo Bolivariano, altri vedono finalmente un Paese più equo e giusto e, soprattutto, sabotaggi e tranelli ovunque.

La conclusione di chi scrive, indispensabile a questo punto, profuma di sospetto verso tutto ciò, rivoluzione o sistema, che limita e mutila quei 4 o 5 diritti personali dell’uomo.

CatatumboSky


21 Ago

Ogni notte a Catatumbo il cielo si ribella. Sono le mangrovie, le mangrovie e il metano delle loro foglie, massa gassosa a spasso per il vento cercando di esplodere. Poi la miccia arriva, tra la bassa pressione del lago piú grande del SudAmerica e il filo di rame delle prime Ande e s’illumina di violenza il cielo di Catatumbo. I suoi lampi spaventano le iguane, risvegliano le scimmie ed accecano la selva, disturbano i pellicani ed incantano i pesci nella potenza della loro energia; semplicemente, succedono. I pappagalli lo sanno, e si addormentano sugli alberi più bassi per sfuggire a questo cielo che a mezzanotte si sveglia nell’amplesso tra aere e suolo, prepotente, e come un fotografo ubriaco acceca coi suoi flash continui i mille occhi che lo guardano, mille occhi rossi puntini gotici nel nero, radar e percezione nella scacchiera di questa selva. Il più grande e il più veloce e il più intelligente e il più fortunato vinceranno, alla faccia di chi non aveva le carte in regola con dimensioni riflessi cervello o destino, chi lo sa. E mentre scaglia sui vivi il suo energetico esistere, automaticamente ne illumina gli intrecci, e lo stanco pescatore, l’innamorato di uccelli tropicali, il cacciatore di caimani e l’inguaribile vagabondo piccoli appaiono, insieme, sotto il cielo di Catatumbo.

Illusione a fari spenti


18 Ago

Piove. Pioggia: acqua santa che scende dal cielo travestita di maledizione: appare sempre quando meno serve. Per esempio quando è in giro sulle Ande in bici. Lo zaino è una roba che esplode. Sette mesi di vita vi sono rinchiusi dentro e sette mesi di vita – di questa vita, questi sette mesi – sono materiale esplosivo. Non è colpa dello zaino. Il Venezuela non vuole Chàvez. Lo chiamano “dittatore”, da queste parti, però lo dicono a voce bassa accertandosi bene che nessuno li stia ascoltando. Viaggione, uno s’immagina i caudillos sudamericani anni ’70 dimenticandosi che il presunto “dittatore” ha perso un referendum costituzionale l’anno passato, per giunta di un pelo. Pagliaccio è la parola, dittatore suona forte e inflazionato e comunista. Maracaibo, quella della canzonetta da discopub estivo italiano, è una città industriale e petroliera e sporca, ma soprattutto, delusione delle delusioni, si chiama Maracàibo. Con l’accento sulla “A”. Quante generazioni di persone ha rovintato la Carrà. Le radio suonano come in Colombia e vomitano reggaeton. Mèrida, invece, profuma di Svizzera e sa di SudAmerica. La benzina, postilla fondamentale, in Venezuela costa 30 centesimi di euro al litro.

In conclusione, però, tutto questo è una cazzata. Pura mercanzia mentale, sensazioni impressioni e pensieri di un ubriaco, e vedi che domani si dimentica tutto. Un Discovery Channel davanti agli occhi, un inutile contatto msn che ti dice cose invisibili, un falso secondo di gioia. Sulla pelle, tra i capelli, stretto tra le dita, conficcato in una pupilla, dentro un’orecchia, nelle tasche, nell’organo pensante e nell’organo pulsante, in ogni poro, in ogni poro, in ogni poro, c’è la mia Colombia, c’è lei, c’è me stesso.

Colombia fue pasiòn


14 Ago

Vento ed eco. Profondo eco, profondo vento. Suonano le campane dell’immaginazione, richiamano a lontani e sbiaditi doveri. La coscienza arriva là dove il corazòn si ferma. Nel gioco di luce degli occhi, sullo schermo di un computer, nei graffiti sui muri si posano le immagini, i riflessi e le scritte di un mondo che, inesorabile, sta per scomparire. Nella stanza a fianco dorme il compagno di viaggio, l’amico e il fratello di sangue che è venuto a prendermi per portarmi via da questo mondo di cartaveliina.

Io non so cosa dire. Non so cosa scrivere. Non voglio dire niente e tutto ho già scritto. Su un pavimento, sulla tua pelle mulatta, su un foglio di carta che poi ho bruciato nell’orgoglio e nell’intimità. Sbiadito sul pavimento, tra formiche e avanzi di vita, rimangono i 100 sonetti d’amore di pablo neruda. Nient’altro da dire, nient’altro da scrivere, tutto si bagnerà nelle lacrime dell’ultima notte di solitudine a quattro mani.

Effimeroblu


08 Ago

Voi pensate che io stia solo dormendo. E non vi accorgete che sto sognando.

Similitudini extemporanee extraterritoriali


05 Ago

La cienaga del Magdalena s’impadronisce delle terre. Rassegnati sotto il sole cocente, i contadini di ColombiaCaribe abbandonano le loro mule per canoe e a colpi di machete si riprendono ciò che resta del loro duro lavoro. Facce forti, facce brave, e in spagnolo “bravo” non è il buono ma l’arcigno, il duro. Figli della terra e terra stessa, rapporto profondo e totale coltivato (questa è la parola giusta) senza più contar gli anni o i decenni, solamente le stagioni.

Ricordo un universo lontano. Erano gli anni delle macchie d’erba sui jeans, e io spendevo i miei pomeriggi in campionati di calcio contro mio fratello tra le pietre e la terra delle Langhe. Ritrovo nella cienaga che si consegna lenta alla notte quelle immagini di paradiso perduto. Quell’indimenticabile giorno dove il tramonto si fermò. Il sole rimase sospeso a mezz’aria, imbarazzato come un falso vicino di casa per immischiarsi nella promiscuità di fottute vicende umane. Eppure non abbandonava, nel calore del suo ultimo abbraccio quotidiano, le rughe di quel vecchio – mio nonno, le sue rughe e il riverbero degli occhi all’abbraccio della luce.

Il silenzio fermò il pallone e il motore del camion, violento, s’impadronì della scena. Nel surreale della polvere trasportava via con sé un trattore, un vecchio trattore, uno di quei ferrami da campo che ancora si vedono là dove l’agricoltura è una vocazione generazionale e non solamente un commercio drogato. Io e mio fratello lo vedevamo allontanarsi lento, nell’eterno tramonto dell’estate che inizia, sempre più piccola la nostra astronave arancione scompariva all’orizzonte.

Una lacrima mi bagnò la spalla. Per la prima volta vedevo mio nonno piangere, mio nonno, più duro di quella terra che da sempre combatteva con la forza del sudore. Fu un’occhiata, fu un secondo, fu una vita: “questa volta il mio mulo mi abbandona”.

“La Biblia de Barranquilla”


01 Ago

Marvel Moreno te explica bien lo que significa Barranquilla. Aunque si solamente quien viviò esta ciudad por un rato, sea un mès un ano o una vida (tambièn la vida es un rato) puede alcanzar a comprender como la mezcla de realidad y finciòn que relatan sus paginas es mucho màs verosimìl de lo que se pueda pensar. “En diciembre llegaban las brisas”, premio “Grinzane Cavour” – y otros màs – en la literatura europea, no es asì conocido en la tierra donde naciò. Tierra que idolatra hasta niveles sacrales su hijo predilecto, gabrielgarcìamarquez alias Gabo, y se olvida de quien no se olvidò de ella huyendo en Parìs.

Marvel Moreno escribe sobre hipocrisia, pasiòn, machismo, sexo, mestizos indios negros y ancestros europeos. En una palabra, Barranquilla. No obstante la ubicaciòn temporal sea los Cincuentas, es asombrante la actualidad de la inflada temàtica “relaciòn entre un hombre y una mujer”, sobre todo si se piensa que cincuenta anos de batallas en contra la cultura machista aquì nunca aparecieron. De aquì sale el ultra-feminismo radical de esta autora que fuè Reina del Carnaval, junto a una crìtica a las mujeres de su ciudad, responsables como los hombres de una situaciòn eterna, inmutable.

“…los años han pasado. No he vuelto ni creo que vuelva nunca a Barranquilla. A mi alrededor nadie conoce siquiera su nombre. Cuando me preguntan còmo es, me limito a decir que està junto a un rìo, muy cerca del mar”.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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