Archive for the ‘Viaggi Mentali’ Category

Aleramico


09 Mag

Oggi ho incontrato mio padre
o forse – non sono sicuro –
che fosse mio figlio?

Camminava in un campo di fiori con una bambina lì di fianco
e io scendevo col mio cavallo tra la polvere e le pietre
scendevo verso il fiume
ad aspettare il falconiere.

Mio padre si è accorto del mio passaggio
ha lasciato per un momento la bambina
È venuto a salutarmi.

“Hai messo su i capelli bianchi”, mi ha detto
e io mi sono guardato nello specchio,
e ho visto lì i capelli bianchi.

Era parecchio tempo che non guardavo più in uno specchio, padre
era parecchio tempo che non ti vedevo, figlio
e poi di nuovo tra i campi di fiori e le bambine
e poi di nuovo giù,
verso il fiume.

Questo Piccolo Scandalo


09 Mar

Dirai a tutti che io sono tua cugina.
Tutti ti diranno che non dovresti essermi cugino.
Attraverseremo, su un cavallo bardato di nero, le strade di ogni paese e di ogni città, coperti da un poncho bianco che rimarrà bianco nonostante la polvere e le voci del mondo.

Nelle piazze e nei borghi, nelle mattine d’autunno, ci laveremo nelle fontane e sarà sempre un pezzo alla volta, perché non saremo mai completamente sporchi ma nemmeno saremo mai completamente puliti, perché non si può essere completamente niente.
Saremo consapevoli del nostro essere precario, soggetto ai cambiamenti e agli umori, un uomo e una donna a cavallo sotto un poncho, e i contadini nei campi che ci saluteranno in un misto di sconcerto, timore, invidia e rispetto.

Ti ascolterò parlare con le tue diverse amanti, così come si ascolta un qualcosa che si conosce per la prima volta, e mi ascolterai parlare di notte a quegli altri uomini lontani, quegli uomini che non ti assomigliano ma ti riguardano e sentono il tuo odore e non si avvicinano. A quella gente che aspetta, da lontano, la fine del nostro viaggio.

Saremo una storia triste, come tutte le storie in cui c’è gente a cavallo e c’è un territorio da attraversare.
“Gente a cavallo” significa lasciare impronte nel terreno ed andarsene sempre. “Territorio” invece ha a che fare con la vastità dello sguardo, nell’impossibilità di posare gli occhi su un punto e un punto soltanto, nella necessità di chiedersi cosa c’è ancora da raggiungere, cosa c’è che aspetta là dietro l’orizzonte.

E nelle chiese del mondo ci inviteranno ai funerali e ai matrimoni, ci inviteranno ai momenti solenni di celebrazione e di ascolto, perché saremo sacerdoti e saremo un qualcosa da esorcizzare per tenerlo lontano, e il nostro cavallo bardato di nero resterà quieto ad aspettare e solo i bambini oseranno avvicinarlo.

Io sarò il tuo ‘Quindi’,
tu sarai il mio ‘Andiamo’.

Coruja Muda. ¿Donde está el Oriente?


28 Dic

Alô amigo
Eu vim aqui perguntar
Se você pode tirar
Em breve uma foto minha
Não é nadinha
De motivo especial
Só uma foto normal
Que eu pretendo emoldurar
Pois quando o tempo passar
Pode ser que ela até faça
Parte de um museu sem graça que ninguém quer visitar.


Il giovane uomo e la giovane donna entrano in un taxi parcheggiato sotto la pioggia.
La città è in fiamme: l’acqua scende dal cielo.
Il taxi è nuovo e spazioso, e si ferma un paio di metri più avanti della fermata del bus.
Innesta la retromarcia, torna indietro un paio di metri, per caricare quei due senza che si bagnino il capo.

Entrambi – il giovane uomo e la giovane donna – salgono su un taxi sotto la pioggia.
La città lì intorno ha cambiato radicalmente veste.
Tutto è pioggia e diluvio, e vento freddo di mezzanotte.
Salgono sul taxi e lei dice: “guarda là. Quelli sono i Fiumi di Pietra, río de piedras, e nessuno sa dire perché si chiamano così”.

Il tassista si mette comodo e sistema la musica. Poi innesta la prima e dice: “dove volete voi”.
“Con questa pioggia non si può fare altro che andare nell’acqua, galleggiando”.
“E allora vi porterò lì”.

Il giovane uomo guarda avanti, nel vetro.
La giovane donna guarda fuori, nel vento.
Macchie scure , e colori vivi, e nitidezza che si scioglie.
Il giovane uomo e il tassista hanno bisogno di parabrezza pulito, di visione lontana, per tentare capire lo que tocará después. Alla giovane donna invece bastano le gocce sulla parte esterna del finestrino. È concentrata su quelle, chissà che verrà fuori da lì.

La Metrópoli si ferma sul confine della montagna, ne morde le vesti, ma non ce la fa ad aggrapparsi lassù.
La Montagna resiste e osserva tutti dall’alto.
L’atmosfera è selvática, umido olor di altopiano mescolato nell’aria elettrica, ma dentro il taxi tutto è asettico e si sta bene lì.
Il taxista lo dice esplicitamente: “voglio farvi sentire a vostro agio”.
Potete baciarvi, potete amarvi se vi va.

Il giovane uomo e la giovane donna viaggiano avanti nell’aria umida.
Sono seduti su un taxi, c’è musica diluita lì intorno.
Il tassista guarda dentro il parabrezza e anche nello specchietto retrovisore.
Ogni tanto sussurra una parola, che non é diretta né all’uno né all’altro, e forse in fondo nemmeno a lui.
Per tenere la rotta segue l’Oriente. Ci sono le montagne, di là.

I cinesi sulla Luna


04 Gen

I cinesi sono arrivati sulla Luna
risalendo una scala di plastica raggiungeranno anche il Sole
e da lassù vedranno un mondo
vedranno un mondo in cui ancora si muore.

Nel frattempo
qui d’inverno si rimaneva sotto le coperte.
E le coperte pesavano a fumo, a stanza chiusa ed a gelo.

La gente di qui girava sigarette con foglie di noce per aver qualcosa da fare.
“Guarda qui. C’è il segno di mille zolfanelli rimasto qui, scavato nel legno”.

E respiravano fumo, stanza chiusa e gelo.
Respiravano l’inverno delle cose vere.

I flussi dell’aria, la trasformazione del caldo che si spegne.
Sentivano freddo, vedevano pace e tridimensionalità che prima non c’erano.
La luce della Luna, senza i cinesi addosso, che riflette il bianco della prima neve.

Gli uomini e le donne che abitavano qui vedevano le cose da una prospettiva diversa
in ogni metro un messaggio,
in ogni segno una scia.
Tutto era linguaggio e veniva da lontano,
veniva dal volo degli uccelli, ed era ‘Presagio di cosa futura’.

Così gli uomini e le donne che abitavano qua uscivano di casa e potevano respirare.
Gli spazi aperti. La dimensione del nulla.
Nessun segno umano sul territorio,
nessun cinese ad infestare la Luna.

Un unico segno umano sul territorio:
è un sentiero, una strada.
Non mi serve nient’altro.
Voglio tutto quel che c’è.

 

 

Lapicero negro


10 Dic

Scau

El viejo lapicero.
Donde habías estado en todo este tiempo,
donde te perdí?

Han pasado cosas mientras tanto.
Cayeron puentes.
Y se fueron las ojas.

Las palabras que tenían adentro tal vez se quedaron allá, del otro lado
ya no tan cercanas como para sentirlas
ya no tan pesadas para cargarlas.

Lapicero viejo
amarillo y negro
escondido en esta cuaderneta escueta
– gorda silueta –
llevame allá de donde venimos
lugar de sueño y espacio,
de tiempo recibido, extraño
llevame de la mano,
tu, mancha negra,
engaño.

Esorcismo dei più


08 Mar

Stalagmis

“Siamo materia afferrata alla vita”,
dice il vecchio pittore mentre nasconde i suoi quadri più belli
e siamo polvere vuota di stelle,
mancanza in accelerazione.
Siamo il desiderio dell’autodistruzione
siamo il cattivo e siamo un bel sogno
siamo un gran grido di disperato bisogno
siamo compassione della specie,
bellezza che non piace,
siamo un errore che si muove veloce.

E siamo sole che non scalda,
pioggia che non scende,
vento di triste incanto
e suono,
siamo musica e canto.

Mar ciapiede


26 Ago

Come in un racconto di camicie bianche, forme e volti che si muovono intorno a un ostacolo, e una notte senza fiume e acqua salata che torna dal mare,
come biciclette nere che volano leggere, riposando sull’aria tutto il peso che si portano dalla terra,
come camini accesi senza fuoco senza ossigeno senza parete, come camini senza case intorno costruite,
come una realtà che si muove rapida che rimane immobile che propone inganni e che si dice cattiva,
come i canti senza canto de todos los abuelos del mundo
che anche questa notte andranno a dormire senza attendere che se ne vada la paura
come i raggi di luce che nel nord cadono sulla terra esattamente come a sud,
pero sin que nadie les entregue canciones.

Di fronte all’Hotel Neringa,
in attesa,
una signora dalle rughe nere mi chiede se sono Jurgas.

Betacam


27 Ago

Porto di Savona

Strane meccaniche assurde.
Accadevano nel tempo in cui sulla terra c’erano ancora le rane, e gli uomini si nascondevano dentro gusci di plexiglass.

Sotto la carezza della rugiada si annusavano i maschi e le femmine, si annusavano e si scoprivano così diversamente simili nei loro gusci d’antipodi.
Bagnavano la lingua nel tè, s’inumidivano le labbra secche attraverso sorgenti sotterranee.

Come neonati si toccavano, si studiavano, riconoscevano nell’odore dell’altro le stesse stigmate dello stesso spettro introspettivo, e si chiudevano il naso e si tappavano gli occhi per non vedersi percorrere la giusta via.

Ancora esistevano spettri d’irrazionalità in quelle epoche confuse, e nessun circuito e nessuna meccanica sapeva opporsi al disordine apparente.

Gli uomini e le donne, sdraiati sull’erba, si fondevano in un destino non ancora scritto e lo facevano arbitrariamente. Uno con l’inchiostro e l’altra col papiro, componevano poemi a quattro mani dove il filo logico inevitabilmente si spezzava là dove la poesia si trasformava in prosa.

Morivano e nascevano sempre e solo e comunque nel nome di questo dio inclemente.

Erano i tempi delle rane, e gli uomini e le donne molto spesso si nascondevano dalla rugiada e da loro stessi, sotto gusci asfittici di plexiglass.

Emak Bakia


10 Mar

.

Tu che sai come si fa
portami via
senza aspettare che le onde abbiano cancellato ogni traccia
prima che il vento si sia ripreso la sua scia
prendimi
inseguimi
accarezzami
mostrami il fondo della tua verità.

. .

Perché tu che sai cosa si sente
raccontami
cosa vedi quando guardi dietro di me.
Parlami di quei mostri eterni che appaiono nel riflesso delle tue pupille
mentre aspetti che io ti raggiunga
in quel tuo costante essere dieci passi più in là.

. . .

E tu che sai cosa vuol dire
spiegami
perché dovrei smettere di camminare sulla sabbia
rinunciare davvero a giocare con l’aria
per sfuggire a quei mostri che son parte di me.

. . . .

Nur sieben mal schlafen


25 Gen

Una stazione di servizio unta e scura, persa nella periferia metropolitana di Kaolack.
La processione dei taxi, umanità di varie forme e colore. L’Africa si muove su peugeot di primi anni 80.
I suoni, i rumori, annegano nel traffico.
Sulla destra, a sessanta centimetri dal mio braccio, un carro a cavalli supera sulla destra tutti gli altri.

Una stazione di servizio unta e scura, un luogo tra mille, nella tangenziale di Kaolack
Nomi senza un riferimento precedente, storie che scorrono su parallele altre.
Un ragazzo armeggia con il suo scooter, laggiù in fondo, vicino al buio.
L’improvvisa sensazione di essere lui.

L’improvvisa sensazione di essere lui.
Come se per davvero, in un altro momento di questo preciso luogo,
io stia veramente sperimentando la sua precisa esperienza.
Immerso nella profondità ignota di ogni suo pensiero.
Circondato da un futuro, un presente e un passato diverso.

Una stazione di servizio unta e scura, che scorre lentamente nel finestrino di Kaolack.
Dostoevskij e l’ipod spento accartocciati sulle ginocchia.
E tutto l’immaginario di tristi periferie
tra cinema dell’orrore
e bassa pornografia
che genera e produce certi pezzi di noi.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


Ricerca personalizzata