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Brigata Anaís


08 Mar

Hanno cambiato le luci elettriche. Hanno una luce più gialla adesso, una luce più calda. Ho visto il furgoncino, era messo là dove di solito si parcheggiano i gatti, là  nella conca in cui scalda più il sole e da lì si controlla tutto. Così hanno cambiato le luci e nel frattempo torna quell’odore di primavera, terra bagnata e calda, odore di primule.

Oggi ho perso il cappello e cercato una capra. Ho cercato una capra con le ragazze e i ragazzi di una banda partigiana, gente sveglia con cui ci si intende al primo minuto. Ho cercato la capra sui luoghi della Resistenza. L’ho cercata mentre l’Italia cambia forma, mentre l’Italia tutto intorno non esiste.

Teresa dice che dovrei viaggiare, dice che dovrei tornare a viaggiare.
Ma viaggiando, dico io, ho perso il cappello nero e non ho trovato una capra.
Però viaggiando ho trovato le tracce di un branco di lupi, e ho visto un ubriaco gettarsi in un pozzo.
Ho conosciuto le Settimine, bambine nate al settimo mese. È rimasto loro un dono speciale addosso.

Una di loro, Emma, è rimasta lassù dietro la Cuštera degli Argentini.
Riceve per venti euro o una forma di pane, ma il pane dev’essere buono, una forma intera.
È capace di leggere quel che non va e di esaminare la morte. È in grado di dire dove sono rimasti nascosti i segreti di chi è rimasto incastrato nel mondo delle tenebre. È in grado di dire dove sono rimasti nascosti i soldi nel muro.

Nelle cascine lì accanto può capitare di trovare un madama che organizza una bisca.
Giocano di giorno, giocano tutto a carte, perché i soldi di notte non esistono.
Gliene sono piombati tanti addosso, tutti insieme dai sogni degli altri, ma loro di tutti quei soldi non hanno bisogno perché è gente che coltiva la campagna e prende da lì tutto quel che serve, e allora il resto dei soldi se lo giocano.

È tutto sospeso ed è tutto selvaggio ed è tutto aggrovigliato ed è tutto in rovina.
Ma allo stesso tempo è tutto incarnato ed è tutto sublime ed è tutto inutile ed è tutto facile.
Hanno cambiato le luci elettriche ma la sostanza non cambia.
Per un’ora o per sempre, tutto questo è esistito davvero.

Similitudini extemporanee extraterritoriali


05 Ago

La cienaga del Magdalena s’impadronisce delle terre. Rassegnati sotto il sole cocente, i contadini di ColombiaCaribe abbandonano le loro mule per canoe e a colpi di machete si riprendono ciò che resta del loro duro lavoro. Facce forti, facce brave, e in spagnolo “bravo” non è il buono ma l’arcigno, il duro. Figli della terra e terra stessa, rapporto profondo e totale coltivato (questa è la parola giusta) senza più contar gli anni o i decenni, solamente le stagioni.

Ricordo un universo lontano. Erano gli anni delle macchie d’erba sui jeans, e io spendevo i miei pomeriggi in campionati di calcio contro mio fratello tra le pietre e la terra delle Langhe. Ritrovo nella cienaga che si consegna lenta alla notte quelle immagini di paradiso perduto. Quell’indimenticabile giorno dove il tramonto si fermò. Il sole rimase sospeso a mezz’aria, imbarazzato come un falso vicino di casa per immischiarsi nella promiscuità di fottute vicende umane. Eppure non abbandonava, nel calore del suo ultimo abbraccio quotidiano, le rughe di quel vecchio – mio nonno, le sue rughe e il riverbero degli occhi all’abbraccio della luce.

Il silenzio fermò il pallone e il motore del camion, violento, s’impadronì della scena. Nel surreale della polvere trasportava via con sé un trattore, un vecchio trattore, uno di quei ferrami da campo che ancora si vedono là dove l’agricoltura è una vocazione generazionale e non solamente un commercio drogato. Io e mio fratello lo vedevamo allontanarsi lento, nell’eterno tramonto dell’estate che inizia, sempre più piccola la nostra astronave arancione scompariva all’orizzonte.

Una lacrima mi bagnò la spalla. Per la prima volta vedevo mio nonno piangere, mio nonno, più duro di quella terra che da sempre combatteva con la forza del sudore. Fu un’occhiata, fu un secondo, fu una vita: “questa volta il mio mulo mi abbandona”.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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