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Was bleibet aber, stiften die Dichter


23 Set

Ciò che resta, lo istituiscono i poeti.
I Poeti: in tedesco li scrivono con la D maiuscola.

Da dove viene il nome Italia? La parola alla Crusca

L’origine del nome è discussa e incerta. Non mancano le interpretazioni leggendarie, come chi lo vorrebbe comporsi dal fenicio “I-dah-yya”, la “terra che cresce al di là della Grande Montagna”. La Grande Montagna è l’Etna.

Ma Italia dunque è un nome di montagna.
Il Poeta  parla dell’antica terra che si chiamerà poi Italia, ma che il nome suo ancora non l’aveva.
Parla di quelle tribù, meglio che popoli.

Tribù, meglio che popoli.
Le Tribù conservano il contatto con il fuoco.
I popoli, il fuoco lo hanno spento.

 

 

Ma oggi sono salito su un tetto e c’era il sole freddo ed era fatto di pietra.
Il tetto era fatto di pietra, al passaggio di un fiume di un antico marchesato,
marchesato alpino,
marchesato di montagna.

La convivenza del feudo della fabbrica idraulica delle case delle signore.
Le figlie dei principi suonavano l’arpa, per allietare l’inverno a chi era costretto attorno a un fuoco.

Le tribù conservano il contatto con il fuoco.
Gli esseri umani che diventano popolo, quel fuoco lo hanno spento.

Fratelli d’Italia di Germania e di Spagna
Fratelli di Lituania, sorelli del tempo.
Sulla metropolitana di Milano viaggiano i ventenni con barba e mascara.
Sulla metropolitana di Milano viaggia un’umanità in camicia, si porta dentro la memoria del fuoco.

Ice. Eyes. [Lies].


24 Mag

Crash

Scendeva lentamente aggrappato al braccio di una ragazza
con la giacca gialla i pantaloni blu
scendeva lentamente, un passo dietro l’altro:
“izquierda, derecha”
“izquierda, derecha”,
diceva la ragazza.

e lui a passo incerto e disperato
nella distesa bianca
“la luz se fue, se me fué la luz”,
ripeteva
e la ragazza che gli diceva no te preocupes, pronto volverá
solo son los rayos del sol,
el sol y este desierto de nieve
uno spazio troppo vasto per contenere
tutti i suoi riflessi.

Le onde ultraviolette arrivano con un’inclinazione diversa a 3200 metri
ora lo sa l’uomo solo su un ghiacciaio
ora lo sa una ragazza sconosciuta, che gli tiene il fianco
e ora lo sa chi cammina là in basso
e si ferma
e osserva.

Siamo la scia di lotte passate


10 Ago

 
Barber-shop

Un campeggio parrocchiale di montagna.
Tredici, dodici, quindici anni più tardi.
Suono impetuoso di torrente.
Forza longitudinale delle stelle: ritorno alla vita.

Incontri sporadici con l’esistenza, estati distanti
[estati distinte]
che si fondono nella patria solida di un’unica rugiada.

Kiki està aquì, como aquì estàn las atracciones fatales di mondi e modi diversi, lontani; l’incontro.
Cosa serve per avvicinarsi al sole?

C’è Herzog, c’è una borsa piena di sale, ci sono elementi di visioni future e morbosità passate che si fondono e si confondono, come se il cammino fosse una possibilità in conto terzi tra il salto di una cascata e un incipiente zigzag, la materia rarefatta dell’azzardo o un metodico percorso, il cammino sintetizzato in due concezioni diverse che entrambe si uniscono nell’immagine di un futuro in bianco e nero, le orme degli scarponi e l’eterno mentire dell’acqua.

Sono qui, nella sfida primordiale della materia artificiale che si insinua tra il mistero grottesco del destino naturale, e intorno a me c’è profumo d’incenso nel suono dell’erba, c’è l’osservazione distaccata e la pulsione dell’istinto, c’è l’illusione audiovisiva e il fotogramma bianco-incandescente del fulmine che la interrompe, ci sono tentativi di amicizia nelle loro infinite rappresentazioni, c’è il movimento e la pietra e il movimento rimasto incastrato nella pietra, e la pietra scolpita a simulare un movimento.

Pausa. Herzog, dai suoi diari nella selva: “Era mezzogiorno e c’era silenzio. Mi sono guardato intorno perché tutto era così immobile. Ho riconosciuto la foresta vergine come qualcosa che mi era familiare e che era dentro di me, e ho capito che l’amavo: ma in malafede. A quel punto mi sono tornate in mente le parole che in tutti questi anni erano rimaste a turbinare, a vorticare dentro di me: Arquebuse, lettera pastorale, novantuno. Cauterizzazione, mostro, pane della carità. Operoso, sposa del vento, massiccio. Solo in quel momento ho avuto la sensazione di poter sfuggire al vortice delle parole”.

Sento le ginocchia resistere, nonostante il peso dello zaino, che spinge.
[Non sono ancora passati due giorni da quando ho visto mio nonno al pronto soccorso, con il panico negli occhi di chi non riesce a seguire i discorsi dei medici, ma capisce comunque che il cervello ha deciso di cancellare una gamba].

Sento lo sforzo del menisco ma sento anche il lavoro del cervello, mentre si misura con una nuova idea di equilibrio, da mediare con il piano inclinato e imperfetto e pietroso.
Penso a Kiki, a ieri sera.
A quando ci siamo addormentati riflettendo sulla nostra condizione di privilegiati.
Stiamo vivendo – da quanto tempo ormai? – immersi nel lato luminoso dell’esistenza.
A Kiki non piace la parola “privilegiati”: sostiene che si tratta anche di responsabilità.
Abbiamo deciso di vivere fino in fondo, è questo il discorso.

Arrivo all’alpeggio e il pastore non c’è più.
Tre cani presidiano il territorio, iniziano ad abbaiare quando mi avvicino troppo al gregge.
Intuisco che la tattica migliore sta nel circumnavigare al largo l’alpeggio.
Esiste una linea immaginaria, che scatta quando i cani s’alzano in piedi.
Riesco a intendermela con i cani, finisco in mezzo al torrente.

Basterà seguire il corso dell’acqua per ritrovare il campo-base.

Bip.


01 Ago

Un re.

Verso l’alto.
Metà del cammino coperto dall’umido.
Acqua ovunque, come se anche le pietre si stiano sciogliendo in altra materia.
A metà cammino c’è un larice seicentenario, un monumento vivente all’annullamento delle funzioni vitali.

In cima, scenari imprevisti.
Un altipiano si nasconde con una sorta di insano pudore, mentre si spoglia al sole delle dieci di mattina.
La camera si accende da sola quando incontra alberi abbattuti dalle valanghe.
L’idea era filmare fiori, prima che la luna d’agosto appiattisca le differenze nei colori.
Ma laggiù in fondo, un tipo col metal detector.

C’è ancora molta neve nell’Alpe Marittima.
La comunità scientifica, i guardaparco, gli esperti, tutti sono indecisi sulla lettura del fenomeno.
Qualcuno sostiene che si morirà per un caldo a cui non si potrà più sfuggire, un caldo che laverà via tutto.
Un’altra teoria invece parla invece di una nuova glaciazione. Il cambio climatico soffocherà la vita attraverso il freddo.
In ogni caso tutto accadrà dopo il 2025.
E’ il 2025 il punto di non ritorno, prima dell’irreversibilità.

L’uomo col metal detector procede con le cuffie.
Quando il “bip” diventa più intenso la terra nasconde qualcosa di artificiale.

Anche l’uomo con la camera procede con le cuffie.
Quando il suono del vento diventa preponderante, il cielo suggerisce qualcosa di soprannaturale.

Cartucce sparate
monete sabaude
brandelli di lattine anni ottanta.
L’uomo col metal detector scandaglia, scava, raccoglie.
A vederlo da qua, pensa l’uomo con la telecamera, sembrerebbe una punizione.
Una condanna in stile dantesco: in cammino per l’eternità, sotto le nevi e le pareti immobili, a setacciare l’infinito.

Cinque stambecchi riempiono lo schermo della telecamera.
A vederla da qua, pensa il tipo con il metal detector, sembrerebbe un’esecuzione.
Il tipo della videocamera, armato del suo supporto metallico, sembra un killer implacabile, alle prese con animali che sono soprattutto corna e che rimangono immobili.
L’esecuzione di un boia condannato a togliere la vita a chi non presta attenzione a simili inezie.

Dalla montagna scende un tonfo spalmato su livelli di eco diversi.
Il metal detector registra una serie di vibrazioni sensibili che risalgono dal terreno.
Il microfono della videocamera capta il movimento del tempo sotto un’altra forma, onde sonore.
La neve ancora incollata alla roccia, sotto la molestia del sole di luglio, spezza un’altra pietra verso il tempo in cui la terra sarà nuovamente piatta.

Gli esperti di climatologia hanno di che dibattere, su questa massa che si divide.
E’ stato il calore della neve a provocare il crollo?
E’ stata la luce glaciale del sole a spaccare la pietra?

Il tipo con la videocamera ha spostato il raggio d’azione dell’obiettivo.
Nello schermo adesso c’è l’uomo col metal detector.
Sembra quasi di sentire il suo bip, in cuffia.

s’esbiner


08 Apr

Hiver

Il lento viandante di remota eleganza
giacca baverese e cappello nero in testa
solo un’armonica e un pezzo di legno in tasca
silenzioso s’avvicina a qualcosa da trovare.

Dal lato opposto della valle un peccatore sale stanco
un cane giovane è al suo fianco
fiore vergine all’occhiello di una giacca ormai vetusta
da tante fughe consumate
nell’arte di scappare.

Lì nel mezzo è la montagna
sole e nebbia che la bagna
spazio aperto spazio vuoto
anche il tempo più non c’è.

Uno cerca, l’altro insegue.
Sul crinale c’è l’incontro
uno è biondo, l’altro è nero
tutto intorno è già tramonto.

Due parole tra i viandanti
come i cani che s’annusano
come prede che si osservano
come ladri che ritornano.

Lingue diverse, lo stesso sguardo in faccia.
Uno ha il tabacco e l’altro il vino,
uno ha la sera e l’altro il mattino
e per il pane,
la montagna ci penserà.

E poi cosa succede?

[Immaginare una trama.
Qualcosa.]

Oh, don’t worry about me. I’m still able to enjoy the life watching the valley burning


07 Ott

To live just over there, where fair ends and snow becomes pink. Sharing your paradise – your own paradise – with people who has something to say, stories from the ocean, but especially something to teach. Staying there drinking wine, drinking wine without any poison on it, drinking wine without any poison in yourself.

And a mountain as the world. As an house, the last house on the world, where put all your goods as decorations, fighting the cold and other people’s mediocrity. A world as the mountain, hard stone harder than you, beautiful with the sun and even more beautiful when clouds are surrounding it, giving to the picture that nice effect that just ermetism is able to paint.

For someone you can be trash, for someone else you’ll be a treasure.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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