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Was bleibet aber, stiften die Dichter


23 Set

Ciò che resta, lo istituiscono i poeti.
I Poeti: in tedesco li scrivono con la D maiuscola.

Da dove viene il nome Italia? La parola alla Crusca

L’origine del nome è discussa e incerta. Non mancano le interpretazioni leggendarie, come chi lo vorrebbe comporsi dal fenicio “I-dah-yya”, la “terra che cresce al di là della Grande Montagna”. La Grande Montagna è l’Etna.

Ma Italia dunque è un nome di montagna.
Il Poeta  parla dell’antica terra che si chiamerà poi Italia, ma che il nome suo ancora non l’aveva.
Parla di quelle tribù, meglio che popoli.

Tribù, meglio che popoli.
Le Tribù conservano il contatto con il fuoco.
I popoli, il fuoco lo hanno spento.

 

 

Ma oggi sono salito su un tetto e c’era il sole freddo ed era fatto di pietra.
Il tetto era fatto di pietra, al passaggio di un fiume di un antico marchesato,
marchesato alpino,
marchesato di montagna.

La convivenza del feudo della fabbrica idraulica delle case delle signore.
Le figlie dei principi suonavano l’arpa, per allietare l’inverno a chi era costretto attorno a un fuoco.

Le tribù conservano il contatto con il fuoco.
Gli esseri umani che diventano popolo, quel fuoco lo hanno spento.

Fratelli d’Italia di Germania e di Spagna
Fratelli di Lituania, sorelli del tempo.
Sulla metropolitana di Milano viaggiano i ventenni con barba e mascara.
Sulla metropolitana di Milano viaggia un’umanità in camicia, si porta dentro la memoria del fuoco.

Siete matti


12 Gen

Non mi interessa quel che abbia detto.
Né cosa sia successo, né come abbia fatto.

Ma se io mi sveglio al mattino e leggo
“9 milioni di italiani di fronte allo tv per lo scontro tra B. e Santoro”
la prima cosa che penso
l’unica cosa che penso è:
ha vinto.

Nove milioni di italiani davanti alla tv.
Che lo amano, che lo odiano.
Che si collegano anche se “a me non me ne frega niente”,
ma
“voglio vedere come finisce”.

Ha vinto.
Quell’uomo giocava ad armi impari.
Lui era da solo.
Noi eravamo la massa.

Carne fresca nel congelatore


15 Nov

‎”In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività. Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L’abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.” [Mario Monti 2 gennaio 2011]

Per quanto me ne intendo


06 Nov

Tra il 2009 e il 2010, per un paio di semestri, mi è capitato di insegnare la lingua italiana in un’università colombiana.
Il lavoro più inutile del mondo, a quanto pare. Vanificato e azzerato dalle logiche perverse che stanno dietro alla “lingua”, quando questa viene convertita in strumento politico.

Tra i miei studenti – “clienti”, secondo il linguaggio in uso in quell’ateneo privato – c’erano ragazzi con cognome italiano, studenti di storia dell’arte che sognavano di vedere Firenze e Venezia, ma soprattutto c’erano studenti del terzo millennio che, come tutti i loro colleghi qua e là per il mondo, ambivano a passare un semestre universitario in Europa, attraverso le decine di programmi di interscambio esistenti nella nostra epoca globalizzata.

Il grande inghippo, anomalia nel sistema, era rappresentato da Dante Alighieri. Non il Sommo Poeta padre della lingua, ma i suoi nefasti discendenti più lontani, l'”Istituto Dante Alighieri di Bogotà“, che avrebbe dovuto certificare le competenze linguistiche, per autorizzare la procedura di richiesta del visto (nota bene: non per autorizzare il visto, ma per autorizzare la procedura di richiesta del visto, da inoltrare presso l’italica ambasciata). Uno studente colombiano che avesse voluto richiedere il foglio per studiare in Italia, avrebbe dovuto presentarsi a Bogotà (non esistono sedi decentrate), pagare 100 US dollari, e sostenere un “test d’ingresso per il Livello C1”. A niente sarebbe servito addurre motivazioni di carattere logiche (“il motivo del mio viaggio in Italia è proprio lo studio della lingua italiana”), o allegare le lettere di accettazione standard che gli atenei italiani inoltrano agli studenti vincitori di borse di studio tipo Erasmus (“si precisa che tutti gli studenti stranieri beneficeranno di un corso di lingua gratuito”). L’ambasciata di Bogotà, in materia di visti per motivi di studio, è chiara: anche se  lo scopo del viaggio è lo studio, è necessario sostenere il “test d’ingresso”.

Il cinismo trova però la sua massima espressione nel momento in cui il malcapitato studente colombiano si trova di fronte al test in questione, e deve sottolineare in ogni frase l’opzione corretta. Per esempio:

1)    Non ho dubbi che Marco sia/è il miglior specialista in materia.
2)    Per quanto me ne intenda/intendo, è stato un bel concerto

A questo punto, di fronte alla mail dell’ex-studentessa colombiana che scrive chiedendo un’opinione sul suo esame appena sostenuto, si leva lo sconcerto. Quattro italiani, laureati in materie umanistiche, discutono per due giorni le varie soluzioni. Alla fine è un tomo polveroso, una grammatica italiana dalle pagine ingiallite, a decretare le risposte giuste – o meglio, quelle meno sbagliate.

La risposta giusta, l’unica possibile, afferma che è triste vedere come la lingua venga prostituita da becere logiche di pseudopolitica. Di fronte alla “necessità” (?) di limitare il numero di ingressi di stranieri in italia, si pretendono competenze linguistiche che l’80% degli italiani “veri” non possiede.

Ingannevole conforto


08 Ago

“L’Italia è un Paese dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E tuttavia, per le strade, si sente circolare l’intelligenza, come un vivido sangue. E’ un’intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla. Essa non è spesa a beneficio di alcuna istituzione che possa migliorare di un poco la condizione umana. Tuttavia scalda il cuore e lo consola, se pure si tratta d’un ingannevole, e forse insensato, conforto”.

Natalia Ginzburg

Prendi un fiammifero


05 Apr

Oltre ai vari ed eventuali (e comunque tutti giustificati) motivi per disprezzare profondamente i Dik Dik, Mogol, gli Innominati, gli Innominabili, i Camaleonti, i New Dada, i Pù, i Ribelli, gli pseudotali e tutti gli altri, eccone uno più valido degli altri.

Erano gli anni Sessanta, e la S.I.A.E. (Società Italiana Autori Ed Editori) era già quell’ente burocratico farraginoso che continua ad essere oggi. Tra i suoi compiti, quello di distribuire le royalities derivanti dalla musica originale riprodotta per un X pubblico. Eppure, un bizzarro vuoto legislativo non specificava cosa sarebbe successo nel caso di brani scritti da autori stranieri, proprio negli anni in cui esplodeva la rivoluzione giovanile, e il mondo esplodeva trascinato dai nuovi messia del rock.

In Italia, ovviamente, qualcuno fiutò l’aria. Strimpellatori di chitarre, giovani vicini al mondo discografico di Milano, studenti di letteratura inglese intuirono il grande business parassita, e iniziarono a stuprare le grida provenienti dall’Inghilterra o dagli Stati Uniti (che ovunque diventavano colonne sonore di rivoluzioni) con versioni provinciali da oratorio, che distruggevano la psichedelia e la ribellione, che trasformavano “All or Nothing” in “Oggi piango”, che trasformavano l’arte (degli altri) in benefici (propri).

Il traduttore-adattatore percepisce la sua quota di diritti su tutte le utilizzazioni del pezzo sul territorio di competenza della Siae, a prescindere che sia stato eseguito in italiano, in inglese, in qualsiasi altra lingua, o anche senza parole .

Perchè questa era la verità. Per ogni riadattamento in italiano di un testo straniero, il traduttore veniva premiato con la metà dei diritti d’autore che spettavano a quel brano. Ma è curioso notare come questa generosa quota del 50% veniva mantenuta anche quando una radio, una televisione o una sala da ballo trasmetteva la versione originale. In pratica, ogni volta che il grande classico “A whiter shade of a pale” suonava sul territorio italiano, Mogol intascava migliaia di lire, in quanto autore della traduzione italiana.

La conseguenza? Centinaia di successi venivano immediatamente tradotti e depositati presso SIAE da un’élite di furbacchioni, che si accaparavano, così, il 50% delle esecuzioni future. E’ per questo che nei polverosi archivi italiani si possono trovare hits milionarie quali “Mister Tamburino”, tra le altre. Poi qualcuno all’estero si accorse dell’inghippo, e sospese la concessione dei diritti di traduzione per l’Italia.

E a noi rimane un Mogol bello lucido al festival di Sanremo e un’ignoranza che si ripete: cinquant’anni dopo gli innominabili, continuiamo ad essere l’unico popolo al mondo che scarnifica i film con il doppiaggio, piuttosto che imparare l’inglese.

Fonte: Franco FABBRI, “Il Suono in Cui Viviamo” – Feltrinelli 1996

Energie eteriche


26 Feb

Secondo voi perchè la gente ascolta quel genere di radio che ascolta?
Dite che sarà per quella vecchia storia dell’abitudine, o del contorno sonoro in stile tanto-uno-vale-l’altro, quel che conta è un elemento di disturbo, qualsiasi cosa, pur di scongiurare la diabolica idea di un attimo di solitudine, meditazione, riflessione, eccetera?

Voglio dire: l’altra sera attraversavo in macchina la solita provincia deprimente, là dove i capannoni prefabbricati sono sorti come funghi – e le insegne degli stessi sono disegnate con paint, ma non è questo il punto. Beh, il punto è che alla radio suonava un jazz meravigliosamente carico, riempito da astruse sonorità digitali che coloravano di verde fosforescente la massa calda delle dita sul legno. Un quartetto russo, dice la speaker. Contrabbasso pianoforte batteria e una diaboleria elettronica. Sonorità entusismante.

“E adesso ascolteremo un po’ di rap kazako. La musica di questo artista è frutto della bolla economica che ha anestetizzato la capitale Astana, ma in generale è la caratteristica timbrica a fare di lui una voce particolarmente interessante. Ascoltiamo.

I capannoni prefabbricati assumono forme grottesche. Con il tempo però tutto fluisce verso il cielo, verso il nero sbiadito dalla luna, verso le montagne là dietro, imbiancate. Stiamo ascoltando, adesso, Scarlatti. Un pezzo “più che mai contemporaneo”, visto che ha ispirato…[segue lista]. Poi viene il groove di Calle 13, un coro di voci bulgare accompagnate da una sezione ritmica afrocaraibica, e un quadratissimo pezzo rock di inizio anni ottanta, qualcosa di irlandese.

Avanza l’asfalto, e niente pubblicità. Niente voci diabetiche e penetranti, niente gallinacce che cantano rime scontate. Niente “auto dei tuoi sogni”, niente shakire o lady gaga, niente jovabue o liganotti o questa brodaglia di residui discografici che vengono somministrati a dosi da cavallo su un pubblico ormai drogato.

Solo illuminanti discussioni intorno agli aneddoti di Garibaldi a New York, o interviste al taxista italiano di woody allen, o letture dai classici greci in diretta dall’Etna, dove furono scritte, duemilacinquecento anni fa. Ma anche David Riondino che legge la sua ode alla soglia, Stefano Bollani che lo accompagna mentre esco ormai dall’autostrada, non riconosco i luoghi intorno a me, tutto è diverso. Telefona il pubblico da casa, nessuno grida nessuno insulta nessuno chiama per vincere una maglietta, telefona perchè ha letto un gran bel libro nel 1972 e vorrebbe sapere se esiste ancora, o per segnalare un certo video su youtube, o per dire che il concerto dell’orchestra rai di ieri sera ha lasciato i brividi.

Radio tre è l’unica vera grande soddisfazione rimasta al settore delle comunicazioni italiane – oltre a questa storia di mike bongiorno latitante, ben s’intende. Stupisce quindi che pochi la conoscano (beh, in realtà, no. Non stupisce per niente). Pochi ma buoni, diversamente udenti.

La bocca del lupo


10 Feb

Eccola, finalmente.
La risposta ai grandi mali contemporanei. L’opera d’arte che stavate aspettando. La riscossa di un cinema nazionale tragicamente degenerato in nazionalpopolare. Un’esplosione di poesia, ma di quella semplice – quella più vera.

La bocca del lupo, sceso sulle nostre umili teste vidiotizzate senza scampo, ci riporta allo stato reale delle cose, delle cose di finzione. Cinema allo stato puro, nelle sue ambizioni più vere: raccontare la realtà, raccontare la storia, raccontare UNA storia. Tutto nello stesso momento. Ma anche, e soprattutto, scoprire, dipingere, colpire, commuovere. Il film del giovane Pietro Marcello raggiunge meravigliosamente ogni suo obiettivo, proprio perchè è nato senza obiettivi apparenti, in una panetteria tra i vicoli di Genova.

A Gianni Amelio, direttore del Torino Film Festival, l’onore di aver dato un senso alle nostre vite salvando dall’oblio a cui era destinata quest’opera – fino al punto in cui la suddetta risulterà effettivamente vincitrice, del TFF.

Berlusconi siete voi


08 Feb

Berlusconi siete voi, che aspettate il treno delle 7.44 conversando amabilmente di clima e centri commerciali. Siete voi, che “porca puttana lo sciopero, arrivo in ritardo dal dietologo”. Voi, voi con i vostri carriarmati turbodiesel mentre portate figli griffati a scuola. Berlusconi siete voi, pensionati a 50 anni, che negli anni settanta preferivate andare al concerto di pupo. Siete voi che “non è vero, non è possibile, sono invenzioni della stampa”. E siete anche voi che “è vero, è probabile, sai cos’ha fatto l’inter?”. Berlusconi siete voi, troppo occupati per occuparvene, troppo liberi per impegnarvene, troppo furbi sempre.
Siete voi che leggete un libro ogni quattro anni, ma conoscete il segreto del successo e i nomi di quelli che contano. Siete voi, future mogliettine in coda per la comunione, mentre pensate che con un paio di tette nuove sareste persone molto migliori. Voi, così convinti che De Sica si chiami Cristian e non Vittorio. Siete voi, quando andate a Londra e la gente si gira per strada e dice “allora sono tutti così”. E siete voi che dopo il lavoro gerri scotti, dopo cena striscia la notizia, dopo striscia la notizia un’allegra vecchiaia.
Berlusconi siete voi, che tra vent’anni, quando Lui sarà solo un ridicolo ricordo, rinnegherete ogni responsabilità e darete la colpa agli altri.

Loredane


27 Gen

Eravamo tutti lì, seduti in pizzeria, era la cena dell’ufficio, sai che noi al lunedì a volte ci ritroviamo, al lunedì perchè è una sera che non c’è niente nemmeno in tivvù, e poi improvvisamente è entrato lui. Te l’ho detto che è diventato pazzo, era uscito fuori di testa un paio d’anni fa, e io lo sapevo perchè la Monica prima lavorava con lui e mi diceva che in ufficio lui se ne stava sempre zitto ed evitava la gente, infatti dopo un po’ era anche diventato difficile, sai com’è, lavorare con uno che non sai mai se è incazzato o no, che tu magari nelle pause caffè vuoi rilassarti un po’ e fare due chiacchiere e questo rimane incollato al computer a cercarsi chissà cosa su google, cioè poi un giorno è impazzito e si è messo a insultare la Monica perchè ha comprato la giacca da 400 euro a sua figlia, sai quella giacca bella che aveva l’altra sera in palestra al corso di step, l’hai vista, e allora ti dicevo che eravamo in pizzeria ed è entrato lui, io ci sono rimasta lì perchè sapevo che era andato a vivere in India, avevo sentito dire che viveva là in qualche comunità di gente come lui, sai sti qua che partono e hanno degli intrighi qua e là e non sai bene cosa facciano, e invece a quanto pare è tornato, peggio ancora di quando è partito, irriconoscibile, ha i capelli tutti lunghi che sembra un barbone, e poi adesso va in giro con quell’olandese mezzo strano che abita in quella cascina lassù a San Raniero, che da quel che dicono non sa nemmeno lui da che parte è girato, pensa che aveva uno studio da geometra su in Olanda o dove abitava e ha mollato tutto per venire a nascondersi lassù sui bricchi, che mi ha detto mio marito che è un posto che non funziona nemmeno bene la televisione, e comunque è entrato con sto qua in pizzeria e avevano una faccia che non ti dico, povera gente, e si sono messi a guardarci ma avessi visto come, roba che a momenti mi alzo e vado e gli chiedo se vogliono una foto, però lo vedi che è impazzito, poveretto, che non connette più tanto bene, pensa che il marito della Betta, e dico il marito perchè si sposano a marzo, a proposito si sposano al Santuario, lui subito non voleva perchè dice che è caro ma poi la betta ha insistito, bè lui ha lavorato un paio d’anni a Francoforte o in qualche posto così, e allora parla bene l’inglese e ha sentito cosa dicevano, pensa lui ha guardato quell’altro sfigato e “è quella gente lì”, ha detto, indicandoci, “che ha reso possibile berlusconi”.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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