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Racconto differenziato


22 Set

Il bicchiere di plastica non va gettato nella plastica, perché è sporco di birra.
Rifiuti misti.

Nemmeno la tazzina della coppa del nonno va gettata nella plastica, perché è sporca di coppa del nonno.
Rifiuti misti.

La scatola di cartone della pizza non può andare nel bidone giallo, perché…
Rifiuti misti.

E la scatola delle scarpe che ho comprato stasera?
Dipende.
Il cartone non può andare con il cartone, perché contiene elementi che cartone non sono.
La carta velina interna che avvolge le scarpe, invece, può andare con la carta, perché pur essendo velina, è comunque carta.
Occhio però all’etichetta, perché se contiene colla, occorre separare l’etichetta dalla colla, e gettare l’etichetta nell’apposito contenitore per le etichette, e la colla nel bidone per le colle.

E quel che rimane – nel caso in cui qualcosa rimanga?
Rifiuti misti.
[cronaca di un dialogo accaduto per davvero, nell’anno Terzo della decade Seconda del secolo Ventuno, calendario giudaicocristiano].

In purity


02 Mar

Rinchiudersi nel mondo interiore.
Giocare al delirio là fuori dalla porta.
Due ambienti, duemila possibilità.
Molti si rinchiudono nel pensiero per inerzia.
Altri prendono troppo sul serio la plastica.
La verità è che il mondo di fuori appartiene all’universo interiore.
E nessuno dei due esiste.
Ma allora, dov’è la purezza?
La purezza è il perfetto equilibrio.
La sospensione su un vuoto che non esiste.

i-Phone 400000


20 Gen

Si avvicina con sguardo volpino, dieci minuti prima dell’inizio del concerto. Il suo strumento é ancora nella custodia; ha altro a cui pensare. Tra le mani, il suo ultimo gioiello. L’iPhone 400000, ultimo prodigio dei prodigi, sei mesi dopo l’iPhone 399999.
E’ impaziente di mostrarmi le meraviglie dell’aggeggio. Mappa di navigazione stellare, condensatore di ricette giapponesi, connessione satellitare con Marte, l’intera produzione dei Simpson. C’é anche la tavola degli elementi chimici, e vorrei sapere come e perché dovrá mai utilizzare una roba del genere.

Nel corso del concerto, mi rendo conto che non é particolarmente attento allo spartito. Sul leggío c’é l’i-Phone 400000, che emana strane luci dal display. Mi chiedo cosa stia mai combinando, ma ha lo sguardo soddisfatto.

Quando il concerto é finito, si avvicina con la stessa eccitazione di due ore prima. Abbandona lo strumento vicino al termosifone, incurante della folla distratta. La sua mano destra, eretta, mi mostra l’i-Phone 400000 in tutto il suo splendore. Con uno sguardo di assenso, preme play e fa partire un rumore agghiacciante, come il suono di una motosega nel traffico di Bombay. E’ la sua registrazione, in presa diretta, del concerto appena concluso.

“Sai cos’é il bello di tutto questo?”, mi confida, prima di andarsene. “Il bello é che lo puoi caricare subito su internet, quasi come fosse in tempo reale”.

# 400


17 Giu

L’acqua inonda il Corso e sommerge i piedini nelle scarpette dei passanti. Operai peruviani dal martello pneumatico sbarazzino fanno i finti tonti, un ingeniere se ne sta seduto sotto la Cattedrale perchè piove, maledetto governo ladro. E maledetti peruviani. La signora qua davanti è contenta, con sessantasette euri le hanno dato una crema per mani ai mirtilli, insieme al profumo. Giulia Tonelli è stata stupida, dice, poteva vincere ieri sera in televisione e invece no. Ha vinto? Controlla su internet, come si chiama più? La sfida dei talenti? Accendo l’mp3. Canzone per i morti di Reggio Emilia, poi Laurie Anderson. Anche mia nonna l’altro giorno mi ha detto che non si fanno più le belle canzoni di una volta, me l’ha detto mentre ascoltavo Mr. Tamburine. I fogli gialli vanno nella cartellina verde nello schedario blu. In ordine alfabetico decrescente. Solamente attraverso la sofferenza l’uomo trova sè stesso. Vi auguro a tutti un parto doloroso.

Me l’ha detto Tito


13 Dic

Se ne tornò un giorno a casa sposato.

Il foglio di carta in mano, la catena di spine in testa. Ma niente fede nuziale al dito, nessuna cravatta appesa al collo, assenza di profumi sulla sua pelle. E nemmeno una sposa tra le braccia, a dirla tutta.

Si era sposato quel pomeriggio alle sei, nel limite invisibile tra l’inizio e la fine, perchè a quell’ora nelle strade esplodeva l’onda tiepida del brivido notturno, e al momento del sì senza un motivo preciso ripensò a quei tempi freddi nelle pianure prussiane, a quando alla stessa ora si celebrava la morte del giorno tra l’intima sicurezza di quattro mura. Quindici minuti dopo erano entrambi ubriachi, nel patio del municipio, a chiedere il fuoco a un testimone per accendersi in bocca l’incenso nuziale.

Poi, fedeli a una tradizione strettamente interpersonale a loro, salirono su un taxi per festeggiare in un motel della periferia una prima notte anticipata all’ora dell’aperitivo.

Il contratto reale in quel matrimonio era però indubbiamente occulto. Quel plico di stronzate snocciolate in faccia allo sguardo scettico del burocrata racchiudevano in sè un potenziale emozionale infinitamente maggiore dell’ipocrisia vitalizia nella quale si avvolgevano. Con quel matrimonio, in realtà, componevano un segreto a quattro mani vivo e definito solamente tra di loro, inestricabile al mondo di fuori. Un silenzio totale avrebbe per sempre accarezzato il loro scrigno, uno strato di metallo pesante che si sarebbe abbattuta sulla verità del loro esistere in osmosi.

Finchè morte non li separò.

Il sesso degli angeli


27 Giu

Ricordo quelle notti che passavo sotto casa sua, ricordo quella finestra, ricordo uomini armati e vecchie moto sonnolente. Inoltrandomi nei meandri dell’ingegno, cercavo di spingere la mia voglia di lei più in là della finestra della sua stanza, elucubrazioni inutili. Sempre guardavo con tenero timore ai vetri della finestra di una ragazza, figurandomi la membrana sottile e inviolabile delle sue tende come un’iconografia ben definita, metafora di altri segreti che una femmina sa ben custodire.

Nessuno sapeva cosa succedeva là dietro. Schiere di maledetti e di disgraziati, paraventi di un romanticismo in decadenza, si ritrovava sullo stesso marciapiede, nella stessa ora delle stesse notti, a contemplare i movimenti lenti di quella silhouette misteriosa e maledetta. Ogni battito delle sue ciglia si amplificava nel filtro ottico delle tende, e provocava un brivido di unisono nella platea sottostante. Bellezza di vita trasformata in bottiglia e stretta forte tra le mani; qualcuno indovinava il colore della piuma che portava appesa all’orecchio.

Dora ancora una volta, ancora una notte, si scrollava via di dosso quei vestiti che un conservatorismo ancora vivo le incollava alla pelle tutte le mattine. Spogliandosi di fronte alla finestra, si immergeva in un rito magico che la portava direttamente alla comunione con quel dio alternativo che si era creata. Vento o brezza, bestia selvaggia o cucciolo d’anima, principe azzurro o membro virile, si rifugiava nel culto di quell’entità multiforme ogni volta che suo padre e sua madre la chiudevano dietro un muro di insulti e pianti. Non perché avevano scoperto che un uomo si era portato via quel leggero peso che la loro bambina ormai donna sentiva nel ventre e nella mente, ma perché era lei stessa a inseguire, tra fantasie e delirio, quell’overdose di passione che la trasportava d’incanto nel suo paradiso politeista.
E quando finalmente nuda, spegnendo la luce, scostava le tende e liberava nel vuoto l’ultimo triangolo di stoffa che aveva in quel giorno coperto la sua essenza, un disgraziato, o un maledetto, scagliava sul cemento la bellezza di vita trasformata in bottiglia e stringendo tra le dita il dono del suo dio si allontanava nella notte umida, tiepida, infinita.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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