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Astenuti e perditempo


28 Gen

Innanzitutto una rivelazione. “Desiderio” deriva dal greco “de” e “sidere”, “abbandonare le stelle”, spostare lo sguardo dal cielo alla terra, dall’assoluto alla carne, allontanarsi dall’assoluto e concentrarsi sul fango.
Che è un po’ come dire che ATTORE è l’esatto anagramma di TEATRO. Sotto il mantra della lingua si celano significanti contorti.

Poi un link. Questioni di Sanità e Rivoluzioni, le riforme progressiste di Rafael Correa e la corruzione innata in chi è nato latino (qua come là). Questo è il nostro articolo per Peacereporter.

E un altro link. KaparySarayaku, che in lingua kitchwa (millenario idioma che non contempla la E e la O, ma in compenso ha tante K e tante Y) significa “Grido di Sarayaku”. Grido antico, dignitoso (o che parola quantomai demodé), e oggi trasposto su piattaforma digitale, direttamente dalla selva d’Amazzonia. Grido di libertà.

E infine un link ancora. Per disquisire di disillusione e di libri, ossia di tutto ciò che ci rimane, a nati nel dopo-tutto (a noi nati dopotutto). L’unico problema, è che si legge in spagnolo. Qua.

Sarayaku giorno 11


29 Dic

Una tarantola gigante nella tenda. Gambe e muscoli spezzati inseguendo indigeni troppo veloci in camminate di sedici ore. Pelle annerita dal Witog. Allucinazioni di pastasciutta e birra e vino e robe dolci e in sostanza di tutto ciò che non sia pesce. Pesce fresco a colazione pranzo e cena. Lunghe camminate notturne in una selva che è un mondo indipendente dal nostro. “Anche il fiume è una città“, dice Josè Luìs. Discussioni su sistemi alternativi al capitalismo consumista. Un aereo-soccorso di primo mattino, perchè un serpente ha morso qualcuno. Il vecchio saggio che sembra essere la persona più bella del mondo. Verde espresso in centomila tonalità diverse. Undici giorni che già sembrano undici mesi. Sarayaku come alternativa.

Sarayacu giorno 6


24 Dic

Se i nostri governanti fossero “selvaggi amazzonici”.
Se per trovare una Comunità non fosse necessario uscire dal Mondo dell’Ovest.
Se l’unico sapore concesso sia quello dell’acqua dell’aria dei pesci e non quello dei soldi.
Se tutti imparassero a pretendere.
Se camminare e non guidare.
Se il giorno e la notte il buio e la luce la fatica e antiche leggende.
Se tutti usassero internet per entrare nel mondo e non solo fuggirci.
Se i vecchi fossero i saggi e non un cumulo di ossa da parcheggiare in un luogo che non consumi troppa pensione.
Se pensare nel “futuro” non fosse programmare “domani” ma lo spazio e l’ambiente di cinque generazioni più in là.
Se la politica fosse come a Sarayacu, “un qualcosa che serve per costruire pace e pensare all’ambiente e nient’altro”.
Se si sta nella selva lontano da tutti per imparare qualcosa.
Se tutti alzassero di qualche centimetro la linea dei loro orizzonti, allora avrebbe ancora un senso il vostro noioso, fottuto Natale.

Sarayacu giorno 2


20 Dic

Il fiume più secco del previsto, e un carico extralarge di benzina che la comunità impiegherà per cercare nell’interno-selva palme buone per costruirci tetti. Risultato: ritardo nei permessi per partire (e non essere arrestati per contrabbando di combustibile con Perù e Brasile), lunghi e frequenti incagliamenti (scendere e spingere, please), e il viaggio spezzato da una notte passata a riposare, in una capanna abbandonata. Venti ore di viaggio anzichè le cinque-sei previste.

Sarayacu però è una conferma. Le stesse facce di un anno prima, e una nuova generazione di neonati. La stessa, sorprendente organizzazione sociale di una comunità che sa perfettamente cosa vuole e come pretenderlo, e si oppone alla costruzione di strade ma vuole radio e internet veloce.

Quindici giga di immagini nei primi due giorni. Tutto è fotografia, cartolina, umanità in movimento. Sui tavoli di legno di una capanna equatoriale, un indigeno di quarant’anni chatta su msn e un paio di ragazzi ascoltano bob marley. Emancipate yourself from mental slavery.

Amazzonia interattiva


18 Dic

Di Sarayacu si era già parlato.
Nel frattempo, niente è cambiato: la Comunità continua la sua “resistenza partecipata” difesa dallo spazio naturale della forestamazzonica, mentre il mondo di fuori impazzisce ma tenacemente si afferra al suo equilibrio precario.

La novità, piuttosto, è un processo di “digitalizzazione della memoria storica” che i Sarayacu hanno deciso di intraprendere, per partecipare sempre più attivamente, insieme all’universo dei popoli nativi americani di cui sono parte integrante, alla costruzione di un mondo e di un modo di vivere il mondo diverso da quello imposto dalla cultura dominante. Ed è una bella notizia.

Per i prossimi giorni, quindi, “noi” (dove per noi si intende un gruppo omogeneo disperso tra il parallelo tre, Torino e Kabul) seguiremo questo processo con videocamera e buona energia, e poi qualcosa succederà. O forse no.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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