Archive for the ‘Purple Castle’ Category

A cà Demia


22 Ott

Per motivi di sicurezza è severamente vietato aggiungere o rimuovere sedie. Al primo piano si ammassano le ragazzine del primo anno di corsi. Pausa caffè: thé al limone. Una fiesta. La macchinetta mi ha fottuto quaranta centesimi.

La critica alla scienza delle migrazioni sostiene che studiare questo fenomeno significa contribuire a legittimare l’anomalia che produce. Chiaramente tutto questo vale solamente in Occidente. Se pensiamo all’India, per esempio, la quesione sarà ben diversa.

Affittasi appartamento per sole ragazze, cercasi coinquilino zona ospedale, vendo libri che non servono più. Scusi signore, la macchinetta mi ha fottuto quaranta centesimi. La luce di quel neon vibra dal febbraio scorso. Sa dove sono i cessi?

La doppia assenza del migrante. Per la società di partenza è un traditore. Per la società di arrivo è un intruso. Nella Roma barocca ci si sposava per ottenere cittadinanza. La doppia essenza del migrante.

Si aggrappano le une alle altre le gocce contro il vetro. La mia esposizione sarebbe finita qui, che ne dite, avete domande? Io vorrei sapere cosa succederà domani mattina. Ho guardato nella mail, ma non c’era scritto niente.

Per dire cosa, poi?


30 Set

E allora nell’armonia di questo momento apparentemente perfetto, in cui un libro di fotografie si apre su un nudo femminile Anonimo Barcellona 1927, e ritornano in mente le sigarette e il liquore all’achillea di questa mattina alle 3, le conversazioni con Mattia, che dice che le migliori foto della storia delle foto sono a firma di anonimi, e sono le migliori perché non c’era una firma e nemmeno un’intenzione, e ritorna in mente il commento di Giamma, per cui gli alieni, quando raggiungeranno la Terra, potranno dire tutto, tranne che l’essere umano non abbia assolto con dedizione e costanza la funzione di documentare fotograficamente la sua componente femminile, donne ritratte in ogni posa in ogni posizione e con ogni prospettiva possibile, fotografie di donne che appaiono, tutte insieme, come un’enciclopedia e come un semplice incipit,

ebbene

nell’armonia di questo momento, in cui ogni elemento di questa stanza porta la presenza di una storia, in cui il computer risuona di un funky senza arroganza, le pagine di Hrabal hanno la consistenza leggera di quei messali che usava il prete in montagna, le pagine di Steinbeck segano via la linea di confine tra inquietudine sconforto calma oppiacea e assuefazione, distruggono la contraddizione latente tra questo simulacro di paradiso e la voglia stessa di contraddizione, tra la mezza idea di sparire da ogni superficie e il prurito libidinoso di ricercare in questo libro, in questo funky, in questo tappeto ricoperto di nudi femminili anonimi la voglia e il rifiuto della contraddizione, del simulacro, del paradiso, di questo linguaggio che gira intorno a se stesso, nell’armonia di questo momento, apparentemente perfetto.

Racconto differenziato


22 Set

Il bicchiere di plastica non va gettato nella plastica, perché è sporco di birra.
Rifiuti misti.

Nemmeno la tazzina della coppa del nonno va gettata nella plastica, perché è sporca di coppa del nonno.
Rifiuti misti.

La scatola di cartone della pizza non può andare nel bidone giallo, perché…
Rifiuti misti.

E la scatola delle scarpe che ho comprato stasera?
Dipende.
Il cartone non può andare con il cartone, perché contiene elementi che cartone non sono.
La carta velina interna che avvolge le scarpe, invece, può andare con la carta, perché pur essendo velina, è comunque carta.
Occhio però all’etichetta, perché se contiene colla, occorre separare l’etichetta dalla colla, e gettare l’etichetta nell’apposito contenitore per le etichette, e la colla nel bidone per le colle.

E quel che rimane – nel caso in cui qualcosa rimanga?
Rifiuti misti.
[cronaca di un dialogo accaduto per davvero, nell’anno Terzo della decade Seconda del secolo Ventuno, calendario giudaicocristiano].

Anti-antipolitici


27 Mar

Antefatto doveroso: ho scritto un libro.
E’ iniziato nel 2007, quando sul balcone di Kaunas, in una pausa sigaretta tra una birra e un vodka, è apparsa una ragazza colombiana.
– E tu che ci fai, qui?
– Sono venuta in Lituania per cercare di capire da dove arriva l’uomo che ci ha cambiato la vita, a Bogotà.

La storia di Antanas Mockus era troppo potente, per non immergersi fino in fondo.
Un intellettuale che trasforma la società utilizzando, a dosi alterne, massicce e contemporanee, arte, pedagogia, sperimentazione semiotica e politica.

Nel 2010, mentre il libro si scriveva da solo, ci furono le elezioni colombiane.
E dalla Colombia si tentava di proporre articoli alla stampa italiana, soprattutto a quella progressista, perché la situazione era piuttosto unica.
Un individuo autentico, indipendente e libero, stava per giocare scacco matto ai macchinari di potere di un Paese tra i più corrotti al mondo.

La stampa italiana però non dava cenni di vita, per un motivo semplice: l’azione di Mockus stava spiazzando sia le forze di destra che quelle di sinistra, e creava imbarazzanti confronti con il contesto italiota.
Il giorno delle elezioni Repubblica non ne parlò, altri liquidarono Mockus come “un candidato ecologista”.

Oggi, tre anni più tardi, il libro è uscito.
Ma nel frattempo è uscito anche Grillo e il suo Movimento, e anche l’Italia si è accorta che non esiste una sola impostazione, un solo linguaggio, un solo percorso, per raggiungere i palazzi dell’amministrazione pubblica.

E a questo punto per esempio leggiamo su L’Espresso un interessante paragone tra due personaggi che tra loro condividono soltanto la carica innovativa di rottura con gli schemi finora conosciuti.

Ora. La prima considerazione che potrebbe venire in mente è che, anche grazie a “uno come Mockus”, l’Italia può tirare un sospiro di sollievo nel prendere atto che ci può essere un Grillo. Ed è un piccolo risultato. Ma, rovesciando il ragionamento, è altrettanto vero che, anche grazie a Grillo, quella branca di pubblici opinionisti in qualche modo vicina al “progressismo” si è accorta dell’esistenza di Mockus, personaggio in tutto e per tutto fuori dagli schemi, e anche per questo, difficilmente assimilabile in paragoni e metafore.

Se L’Espresso avesse approfondito a tempo debito il fenomeno-Mockus in Colombia, oggi non rischierebbe di rimanere coinvolto nell’errore di considerare che un’alterità politica nei confronti dell’esistente debba obbligatoriamente essere immaginata, sempre e comunque, con quegli stessi termini populistici che alla fine confluiscono nella definizione di “antipolitico”.

Per riassumere: Antanas Mockus è uno studioso che fin dalla sua prima formazione – Francia 1970, Filosofia e Matematica – si dedica all’analisi delle possibilità di cambio sociale. Il suo intero cammino personale e professionale si è sviluppato tra le strade della creatività e dell’arte, applicate ad una solida fiducia nell’utilizzo della pedagogia per trasformare una città (o un Paese, e quindi un’intera società) in un laboratorio dinamico di possibilità. Nei suoi anni di insegnamento all’Universidad Nacional de Bogotà i suoi studenti impararono a pensare “fuori dagli schemi” osservando il loro professore scrivere con il gessetto sulle pareti dell’aula una volta che la lavagna era ormai piena, per poi proseguire sulla porta della stanza, e da lì verso le pareti del corridoio….

Intrapresa l’attività politica [la prosecuzione della pedagogia con altri mezzi], Mockus apparì per strada travestito da SuperCittadino, con l’obiettivo di stimolare un gioco creativo in cui il risultato finale era una grande riflessione relativa alla destinazione da attribuire ad uno spazio urbano per la prima volta percepito come collettivo.

Ecco un primo paragone possibile tra il Comico e il Pagliaccio, con il non secondario dettaglio che pochi mesi più tardi, una volta eletto a Sindaco della capitale colombiana, Mockus sostituì interamente il corpo dei vigili urbani con un esercito di clown, attori teatrali, mimi. Il suo obiettivo era semplice: risolvere i problemi legati al traffico. I vigili urbani non facevano altro che alimentare un antipedagogico sistema di corruzione e di “soddisfazione dell’ego” per gli automobilisti che evitavano le sanzioni, mentre i mimi e i clown, con creatività e solidità sociologica, avrebbero toccato un tasto caldo per il prototipo di automobilista latinoamericano: l’orgoglio.

Ma a chiunque voglia continuare a immaginare i due nuovi eroi in termine di similitudine, basti pensare questo: Antanas Mockus circolava con un cartellino da arbitro di calcio in tasca, e ogni volta che un giornalista o un avversario politico cercava di innescare una polemica o un commento negativo, rispondeva innalzando il cartellino rosa – simbolo del suo Movimiento de los Visionarios. “Comportamento scorretto, atteggiamento poco costruttivo”, rispondeva all’interlocutore, sbigottito. “Non serve a niente parlare degli altri, proseguire la prosopopea del nulla. Non chiedeteci se siamo di destra e di sinistra, siamo a un livello di coscienza più immediato, siamo Cittadini in Formazione. E adesso che abbiamo la consapevolezza di esserlo, iniziamo a costruire qualcosa”.

Tutto qua.

Leggete il libro.

 

 

 

Non avremo un governo. E allora?


06 Mar

Marafiki

Dai, fatemi dire la mia sull’orgia di opinioni che in questi giorni scatena l’entusiasmo degli illustri perdigiorno al pari mio.

[Il fatto è che da 36 ore si attendono i risultati delle elezioni in Kenia, e lo spoglio delle schede è solo al 78% in questo momento. Quindi, considerando che Nairobi è immobilizzata, ho tanto tempo a disposizione da spendere in blog giornali e postriboli virtuali varii].

Dunque.
Mi sembra di aver capito che la questione del M5S non ha lasciato indifferente né l’Italia né il mondo.
[E quindi, ha funzionato].

A me viene in mente solo una cosa.
Ed è il profondo senso di disgusto, di disprezzo, di astio che mi fermentava nello stomaco ogni volta che vedevo o ascoltavo o inciampavo nella prosopopea del nulla più assoluto che tanto piaceva ai vecchi faccioni.[“vecchi” non ha un valore anagrafico, ma espressivo. Renzi, per quanto mi riguarda, è vecchio per cosa dice e per come lo dice].

Berlusconi che diceva una cazzata, e tutti gli altri a parlare di “demagogia”, senza considerare che la maggioranza degli italiani non conosce nemmeno il significato di tale termine.
Il faccino di Fassino a dire che il Tav porta posti di lavoro.
E il solo pensare che Fini sia sparito, Rifondazione si è definitivamente estinta, e Casini non apra più bocca ha migliorato moltissimo ogni fase della mia digestione.

Anni, decenni, repubbliche di maschietti arrivisti che, una volta occupata la sedia e incassati i “guarda guarda, quello lì è il parlamentare X!” del popolino, dichiara soddisfatto il suo ego e si dedica alla conservazione dello status quo.
Nessuna fantasia nelle loro proposte, nessun coraggio di migliorare l’esistente tentando soluzioni nuove, nessuna consapevolezza che esplorare panorami inediti può essere molto divertente, oltre che utile.

E va detto che il M5S ha sferzato una mazzata non indifferente a tutta questa gentaglia capace solo di autorappresentarsi, autoriprodursi, automasturbarsi.
Non solo ai politici: anche a te, che fanciullescamente credi che sia sufficiente votare i più buoni, votare il meno peggio, per dare forma a una società sessualmente attiva.
Anche a te che credi che sia sufficiente votare, votare, dico, in un momento di consapevolezza storica in cui i limiti di ogni struttura di potere sono sotto gli occhi di tutti.

Il processo democratico rappresentativo, visto da Nairobi, appare nella sua eloquenza.
Un imbecille tra gli altri grida sorride abbraccia i bambini dichiara che gli altri puzzano e il resto del popolo brandisce al vento bandierine e gridolini di giubilo.
Uno vince, l’altro perde, il popolo ride o si affligge a seconda della disposizione, poi i ricchi tornano dietro i loro recinti, i poveri nelle baraccopoli, e nulla cambia.

E allora perché non provare a fare evolvere questo sistema infantile, perché non tentare soluzioni alternative? Il sistema di intelligenza collettiva che propone Grillo – lo propone dal 2005, ricordo di averlo sentito in un dicembre a Cuneo – non sarà sicuramente perfetto, ma per lo meno offre uno stimolo su cui ragionare.

Resta il fatto che i dubbi non mancano, soprattutto sulla competenza e l’inettitudine di per un motivo o per l’altro scelga di impegnarsi in prima linea. Riconoscersi onesti non basta, dichiararsi “portavoce” non cambia. Se qualcuno dovrà scrivere le linee guida per l’agricoltura, gradirei almeno che provenisse da un percorso di formazione di coscienza sul tema. L’amico Antanas, in Colombia, ha scelto i migliori accademici in ogni specifica disciplina, per governare. Un ladro mi sta sinceramente antipatico, ma un inetto con velleità di comando proprio non lo sopporto.

Perchè altrimenti il rischio è quello di ritrovarci tutti in una battuta letta su Spinoza.

“Dice che porterà in parlamento normali cittadini”.
“Ah. Non vedo perchè la cosa potrebbe tranquillizzarmi”.

Quel che il tempo [inteso come fenomeno atmosferico] riscrive


04 Feb

Time made them unknown

Guardi questa foto, e dici: “c’era un paese”.
C’era una comunità, con tutto quel che la questione può significare.
[per esempio: desiderio di fuga. oppressione intorno al collo. Calore e anche calore asfissiante].

Cinquant’anni più tardi apparentemente tutto dorme.
Le case sono abbandonate e i boschi si popolano in maniera silenziosa.

Eppure guardi fuori dalla finestra e qualcosa non torna.
E’ il ciclo delle stagioni, la potenza dei quattro ambienti, che a Viola si sente così forte da congelare ogni altra percezione.
Se il mondo è così vivo fuori da quella finestra, ti dici, chi cammina ad occhi chiusi sei tu, e non il mondo circostante.

Esco di casa.

Primo incontro.
Il personaggio al centro della foto oggi ha ottantadue anni e le gambe che non funzionano più.
Ha il bicchiere del vino incrostato dall’uso, non avrebbe senso lavarlo.
Pietre e legno lo sostengono sotto entrambe le mani: con una si appoggia alle pareti della sua vecchia casa, con l’altra stringe il bastone.
“Abbiamo girato così tanto che alla fine ci siamo caduti, nel sacco”, dice con l’arrendevolezza del vecchio lupo.
Il vino di quest’anno comunque è buono.

Secondo incontro.
Uno dei più giovani del paese, che oggi fa il contadino.
In questa foto non c’è, ma lo si vede – bambino – in un’altra, cinquant’anni fa.
Il bastone nella mano, un sacchetto sotto l’ascella dall’altra parte. Un’immagine che preconizza un destino.
Lo vado a cercare per concludere un sano baratto.
Io gli do un dvd, lui ricambia con le formaggette delle sue pecore.
Plastica in cambio di vita, lo scambio sembra vantaggioso per me.
Come va?, gli chiedo.
Andrebbe meglio se questo mestiere fosse lasciato in mano a chi lo fa, dice lui.
Mi parla di sindacati, politici, controllori sanitari, direttive europee.
Penso a quel libro di Jared Diamond, in cui spiegava che l’umanità, quando è diventata sedentaria, ha accettato di accogliere e mantenere al suo interno i parassiti.

Terzo incontro.
Simone, figlio dei figli di chi è lì nella foto.
Come me.
Gli scarponi ancora ai piedi, è appena tornato da una lunga passeggiata nella nebbia e nella neve.
E’ qua solo di giorno: questa sera torna a valle, va a suonare.
“E ogni volta devi dissanguarti in assurde discussioni coi gestori dei locali”, dice.
Se proponi musica tua, sembra che la gente abbia paura di ascoltarti.

Torni in casa, guardi questa foto, e dici: c’è un paese.
O forse non c’è più, e a quel punto… ancora meglio.

Perché quel che ti serve non è la massa informe, ma la materia scolpita dalla vita.
Servono occhi abituati a vedere, gambe che si muovono.
E il ciclo delle stagioni, che riscrive sempre tutto.

E’ scesa una briciola tra la n e la barra spaziatrice


27 Gen

Cadono giù i pezzi dall’autogrill.
E’ neve, sembra neve, ma anche la neve sembra qualcos’altro che non è.

E io, da un paio di giorni suppergiù, vivo in una casa di riposo.
Mi sveglio alle prime luci dell’alba, vado a dormire prima del solito, condivido i ritmi – condivido solo i ritmi, effettivamente – con i miei coinquilini temporanei, anche l’ora del pasto è anticipata di un centinaio minuti rispetto alle abitudini mie solite.
Ho anche il letto con il telecomando elettrico, si sollevano le gambe la schiena e anche il bacino, ogni combinazione è possibile e procura sollievo effimero.

Ma a pensarci bene non è questo il punto.
Il punto è: perché dovrei dirlo?
Perché lo sto raccontando?
Perché lo sto scrivendo?
Avrebbe meno senso, se fosse un’esperienza come un’altra, un pezzo di vita da conservare per me?
Ha un senso, in qualche modo?

Camerata


18 Gen

Sul treno.
Sale un tipo con gli occhiali scuri (nevica), gli abiti scuri, il cappotto scuro, e anche la pelle scura (questo è un dettaglio interessante).
Non c’è posto a sedere, rimane in piedi.
Mima una telefonata, non credo che telefoni veramente.
“Sì, camerata. Ci vediamo davanti alla casa di quegli schifosi, camerata. Ho portato anche il libro su quei bastardi ebrei, camerata. E’ sempre il solito discorso, il solito problema con i sionisti, camerata. Ho letto anche quello che avevi detto di leggere su Benedetto Croce, camerata. E’ giunto il momento di fare qualcosa, Monti è uno di quelli, è un amico dei sionisti, camerata. Ma ne parliamo più tardi. Heil, camerata [con annesso gesto del braccio]. Onore e rispetto. A dopo”.
La gente solleva gli occhi, qualcuno ascolta. Qualcun altro continua a leggere “Alla fine di un giorno noioso”, di Massimo Carlotto. Io smetto di scrivere questo testo e inizio a scrivere questo testo. Il nazista meticcio probabilmente non sta telefonando veramente, probabilmente c’è qualcuno con una telecamera nascosta che sta filmando la scena e le reazioni – o le non-reazioni – della gente.

Ecco, sì, dev’essere così.
Non sta telefonando veramente.
Dev’esserci qualcuno con una telecamera nascosta che sta filmando la scena e le reazioni – o le non reazioni – della gente.

Oggi


05 Gen

running up

Esci dalla porta e sembra di entrare in un abbraccio.
Quindici gradi, il 5 gennaio.
A Viola non si era mai visto.

Mal di gola, occhi infiammati.
Caffè con mia nonna, la musica di ieri sera ancora in testa.
Quindici gradi fuori dalla porta, la neve si è sciolta tutta.

Poi un saluto al vecchio contadino, profumo di spezzatino.
Questo caldo è una piaga, non fa per niente bene alle piante, dice.
Le fa gonfiare, le illude, poi torna il gelo e si spaccano.

Oggi ho pensato a Werner Herzog, agli anni Settanta.
Quel che è stato è stato una scintilla, una folgore.
E’ rimasto qualcosa?
Fabrizio dice che quel succede in una stanza, in qualche modo, rimane.
E molto tempo dopo, ancora si respira.

Rimane anche quel che succede fuori dallo spazio, che ti si appiccica addosso.
Le parole tra due sconosciuti, quando si annusano e si riconoscono.
Cosa riconosci, in quella tela in cui l’altro si dipinge?
La stessa voglia di creare un disegno, che muove la tua mano.

Oggi per esempio, passeggiata nel bosco.
Quindici gradi, il cinque gennaio.
Oggi ho scambiato un dvd con due formaggette fatte in casa.
Oggi sono andato a trovare una vecchia prozia, novant’anni.
Dice che suo fratello, che era mio nonno, la sera del 5 gennaio le propose di stare svegli e sbirciare.
I loro genitori – i miei bisnonni – se ne accorsero.
E da quel giorno non arrivò più nessuna befana.

Oggi.
Oggi domani è diventato già ieri.

Credere. Obbedire. Comprare.


07 Mag

Andrew Pole è un genio contemporaneo. La sua arte è la statistica, e cioè la capacità di prevedere l’effettiva realizzazione di un evento, partendo da una metodica osservazione. Nell’epoca porca in cui è nato e vissuto, Pole si dedica ai pannolini. Nel 2002 il suo cervello è stato acquistato dalla multinazionale statunitense Target, impegnata nella grande distribuzione. La missione affidata a Pole è stata chiara fin dal principio: gli esseri umani effettuano acquisti seguendo le loro abitudini. Le abitudini degli esseri umani sono modificabili. Tu devi modificare le abitudini degli esseri umani, perché i loro acquisti possono essere soddisfatti integralmente all’interno dei nostri grandi magazzini.

Per realizzare il proprio scopo, Pole ha addestrato una squadra di occhi e orecchi elettronici, collegati a microchip collegati a “carte fedeltà” e “carte di credito”, collegate a loro volta ai profili anagrafici demografici grafici lavorativi sociali di chi si recava nei grandi magazzini. È emerso che una fascia di pubblico propensa a cambiare le proprie abitudini, per cause che non sarà difficile immaginare, era formata dalle donne incinte. A quel punto si è trattato di individuare le donne incinte. “Abbiamo osservato i registri acquisti dei nostri profili. Elaborando i dati, è emerso che dopo il terzo mese di gravidanza, le donne smettono di comprare creme per il corpo profumato. A poche settimane dal parto, invece, iniziano ad acquistare asciugamani, e pacchi di cotone di grandi dimensioni”.

Da lì in poi, la strategia è in discesa. Le future mamme ricevono una campagna pubblicitaria preventiva, in cui le si guida a comprare i prodotti di cui presto avranno bisogno (o meglio: le si guida ad aver bisogno di quei prodotti). “Abbiamo cominciato a far comparire, a fianco delle caselle mail dei nostri profili, pubblicità di un tosaerba accanto a quella dei pannolini. Così sembrava che tutti i prodotti fossero scelti a caso. E abbiamo scoperto che se una donna incinta non pensa di essere spiata, alla fine compra quello che le proponiamo”. Poi, una volta che la vittima (o il cliente, o il profilo) entra nel negozio Target, trova altri stimoli, e compra lì quel che normalmente cercherebbe altrove.

La precisione di Pole e del suo esercito non è uno scherzo. Un giorno nel negozio Target di Minneapolis si è presentato un uomo su tutte le furie, mostrando le pubblicità ricevute dalla figlia adolescente, che raffiguravano prodotti per i neonati. Si lamentava perché, a suo dire, in quel modo si incitava le adolescenti a restare incinte. Quando il direttore del centro commerciale ha controllato il profilo della ragazza, ha consigliato al padre di fare due chiacchiere con la figlia. Due ore più tardi questo ha richiamato: “ho parlato con mia figlia. Ho scoperto qualcosa di cui non ero al corrente. Partorirà in agosto”.

Il capitalismo ha vinto perché ha annientato tutto e tutti. Uomini, donne, bambini. Perfino i neonati, e i nascituri, e i moribondi. Ha sconfitto dio, ingrigito il papa, distrutto l’immagine del paradiso terrestre. Nemmeno gli Stati Nazionali, delirio tremens del secolo appena morto, si sottrae all’inganno. E i governi si sono convertiti in una schiera di segretari che firmano commesse e operazioni finanziarie di cui non comprendono i meccanismi. Una nuova religione ha conquistato il suo trono, un nuovo Credo, con i suoi rituali, le sue simbologie, nuove utopie. E a tutti noi, alzandoci e sedendoci insieme a tutti gli altri, non resta che

Credere

Obbedire

Comprare.

 

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


Ricerca personalizzata