Archive for the ‘Notte’ Category

26 XII 1988 Рtiempo despu̩s


27 Dic

Dame la formula
La canciòn la poesìa
Hazme canciòn, hazme poesìa
Para borrar tu melancolìa
Para no ser tu soledad.

Tutte le cose iniziarono cantando


04 Dic

Dietro la creazione

Tutte le cose iniziarono cantando
canzoni di culla dalla consistenza della lana grezza.
Lana grezza che stabiliva un confine.
Al di là della filatura, la mano dell’uomo.
Al di là della mano dell’uomo, la pelle dell’animale.
Un solo fuoco a scaldare tutto.

Ricordo le strade arancioni, la città delle quattro del mattino.
Il freddo a congelare le vibrazioni appese alle mie labbra.
Possibilità di esprimermi limitata, coscienza a briglie sciolte.
“Quella notte hai parlato di me come se mi conoscessi da una vita”.
Quella notte ti conoscevo da tutta una vita.

Attraversare l’oblio in retromarcia.
Le illusioni e i desideri che si trasformano in certezze.
L’abbraccio del vento che diventa concreto
Cosa diventerò domani?
Quale pezzo di me ormai abbandonato mi accoglierà?

Stamattina ho spaccato legna per tre ore con mio nonno.
Poi quando la brina si è sciolta lui è partito con un bastone.
E’ tornato mezz’ora più tardi, poco prima delle campane di mezzogiorno.
Mia nonna come al solito è uscita incazzata a cercarlo, quando il sugo era già in tavola.
“Lavati le mani”, mi ha detto mio nonno.
“quella che rimane la spacchiamo domani”.

Ieri invece, dov’ero ieri.
Ieri è un concetto ancora un po’ difficile da ubicare.
C’è uno “ieri” fatto a linea continua e un altro sempre più piccolo, laggiù in fondo.
C’è uno ieri anche in questa notte, qui a Viola.
C’è uno ieri in quel che verrà.

Poi il patio di Kiki, una coperta di scritte, Granada.
La fisionomia di un sentiero, intravisto dall’alt(r)o.
La geografia di un’anima, i suoi elementi naturali.
Sei tu il padrone del tuo destino. Prenditelo.
Sei tu il padrone del tuo destino. Prenditelo.

E così tutte le cose iniziarono cantando
e non era la voce di tua madre, quella che sentivi, là dietro.
Non sei neppure sicuro che fosse, in fondo, una voce.
Ma tutte le cose iniziarono cantando.

Ora legale, minuto mortale


28 Ott

Questa è l’ora in più che questa notte mi regala
Sessanta minuti aggiuntivi a un’esistenza in sottrazione
Cinquantanove minuti Рuno ̬ ormai passato Рper una direzione.

Un’ora per decidere, un’ora da riempire, un’ora da svuotare.
Un’ora per fare tutto quel che non si avrebbe mai voglia di dire
Un’ora, cinque minuti almeno, per prendere e partire.

E’ il tempo in surplus e in abbondanza
lo spazio tra due lancette in alternanza
la dimensione extra di un segreto
lo sguardo su me stesso,
un gran divieto.

Trentacinque, venti, sei minuti ancora
Così vuota e così bianca, anche quest’ora
aritmetica di un tempo sempre passivo
è la vita intera che se n’è andata,
e io dormivo.

Il Castagneto Acustico – 2012


23 Giu

No time no space

Una festa.
Una festa?
Una festa.

Senza responsabili né denaro in circolazione, senza programmi né sponsor, senza nessun’altra regola se non quella della condivisione.

Mario e Ernestina, classe 1925, raccontano che nei giorni antichi in cui a Viola Castello abitava ancora la musica, i giovani del paese mettevano insieme la loro voglia di ballare. Qualcuno scendeva a valle a cercare i musicisti, qualcun altro faceva il pane, altri ancora preparavano i formaggi.
Non c’erano soldi: la festa si faceva senza soldi.
Non c’era energia elettrica: la festa si faceva senza energia elettrica.
Ma c’era desiderio e passione, e bastava quello, per fare la festa.

Il Castagneto Acustico è desiderio e passione, assenza di soldi, niente di elettrico.
Lo scenario è un bosco illuminato dal fuoco, nei secolari boschi di Viola Castello, che ancora resistono all’abbandono dell’uomo.
Musicanti e narratori, danzatori e teatranti, cucinieri e spillatori di vino, peccatori e disegnatrici, gente semplice e contadini. Tutti insieme senza un programma, ognuno viene e porta quel che vuole di sé.

L’appuntamento è nel Bosco del “Grimaldo”, frazione Castello, Viola. Venti km sopra Ceva. Domenica 8 luglio, dal pomeriggio a notte.
Cibo e vino ci sarà, ma cibo e vino è anche benvenuto.
E’ un bosco, quindi il più grande hotel, quindi si possono piantar tende e accampamenti.
Le vacche di Aldo hanno già iniziato a falciar l’erba, e preparare il terreno.

Per non svegliarti


03 Mag

Vertigo

Immagina una panda
una macchia bianca che si fa strada nel bosco
due fasci di luce per spezzare in due l’oscurità:
tutto quel che ottengono, è di farla sembrar più grande.

Immagina quella casa vuota
là in fondo alla finestra.
Dove son finiti i suoi insetti?
Ora che non c’è più l’uomo a sorprenderli
in un certo senso
non ci son più nemmeno gli insetti.

Immmaginati le mie mani incrociate
la luce di uno schermo a illuminare la pelle immobile.
vorrei che tu fossi qui, anche solo per accorgermi
che dietro il monitor
stanotte
è luna piena.

Immagina
immagina il deserto, con tutte le sue parole che lo riempiono
immagina il thé verde, il fumo nero, l’assenzio
e illuditi ancora che sia solo immaginazione.

Immagina questo soffitto, sopra la mia testa.
C’è stato un tempo in cui anche tu l’hai vissuto.
E hai visto facce strane, maschere, giochi nel legno
hai visto gli alberi che furono, riprendersi la loro vita.

Immaginati la notte, sempre la stessa.
Immaginami qui, a dover scrivere per raccontarti qualcosa di più grande.
Una bugia come le altre, in cui credere davvero
una favola senza finale
da leggerti sottovoce
per non svegliarti.

No tu rno


29 Apr

Chocolate Mountain

Le mutande sporche. Il telefono da ricaricare. Una sostanziale indifferenza verso le faccende del cosmo. Anche oggi è finito, anche oggi è andato.

Nebbia primordiale sugli avvenimenti della giornata. Lasciatemi la sera, l’ultimo momento di anestesia, l’ultimo momento di lucidità prima dell’anestesia. Un altro pezzo è andato. Un altro scalino su una superficie così ripida che vista da qui sembra quasi piana, orizzontale.

Quante cose si possono condensare, in 24 ore. Lasciatemi soprattutto gli attimi più inutili, quelli più stupidi. Sono loro che adesso si trasformano in macchie d’inchiostro.

Nel mezzo, pura illusione. Tanta fantasia. Mio nonno che mette da parte le patate che potranno fiorire e diventare altre patate. Le luci rosse delle macchine, da lontano. Gli uomini e le donne che si inseguono, che si annusano, che si perdono. Centinaia di parole intorno al nulla, una massa di persone senza voce per lo sforzo di gridare il vuoto, simulacri di resistenza alla grande anestesia, anestesia di resistenza di un movimento inerte, superiore. Le faccende del cosmo che d’improvviso si fanno concrete, l’illusione di distrarsi con una nuova verità.

E lasciatemi dormire, domani non svegliatemi, ho cose più importanti a cui pensare, domani.
Le mutande sporche.
Il telefono da ricaricare.

Un’unghia


25 Apr

“Alza il dito verso il cielo”, gli disse.
“Vedi la tua unghia? Copre un pezzo di cielo.
In quello spazio di cielo, ci sono 200.000 galassie”.

Apagones


23 Lug
La vida es asì 
Tu te vas, y yo me quedo aquì. 
Tan bello y tan lejos.
Tan blanco y tan vacìo.
Canta de apagones y de corazon
 esta cantante cubana.
 De añejo y amor blanco
 de vida extrana y de tiburòn.
Canta imagenes de fuego
 vivas y fuertes debajo de la piel superficial.
 Canta y escupe dolor y verguenza
 Escupe y canta promesas y desespero.

 Deja de llorar tus lagrimas burguesas 
el mundo se hunde sin solucion en pobreza...
 canta palabras de orgullo y prepotencia
 canta pedazos que alguna vez escribimos.

Azzurro, arancione e nero


21 Gen

Aurora boreale. Tre pennellate forti e definitive: azzurro, arancione, nero. Senza passato né futuro, senza terra o destinazione, solamente emozioni sospese nell’aria a diecimila metri d’altezza.

Non credo negli dei, negli angeli e nei miracoli. Però soprattutto non credo nella terra, nel senso ultimo di un qualcosa che sei miliardi di persone si ostinano a cercare nell’infima miseria della vita quotidiana. Credo nel cielo, spazio aperto e infinito, che inizia dove finisce la nostra carne e cosa nasconde chissà.

Credo nel cielo, è meraviglioso e tangibile fuori dal finestrino. Laggiù sotto le nuvole c’è la groenlandia, la terra del ghiaccio, e il freddo arriva su fin nelle ossa, in questo risveglio improvviso. So perfettamente che non stavo sognando, che è tutto vero, che è vero che non è vero niente. So perfettamente che il sogno è questo, io sospeso in una capsula metallica che mi porterà là dove tu non ci sei più.

Pensieri? Pochi e confusi, vince su tutto l’immensità azzurra e arancione, e l’ultima stella della notte. Solo adesso per esempio mi rendo conto che non abbiamo mai parlato di morte. Di niente, di bici, di amici, di coerenza, di sogni, di sesso, d’amore, d’assurdo, di tutti gli altri, di noi, di tutto questo abbiamo parlato, e mai di morte.

Forse era meglio così. Eravamo giovani, e lo saremmo sempre stati. Tu ci sei riuscito; io, da oggi, sono improvvisamente più vecchio.

Poi viene su una strana sensazione di sopravvivenza. L’inizio di un gioco beffardo, una roulette russa che si risolve in un uno-contro-l’altro, un conto alla rovescia. Fuori dal finestrino c’è un vuoto, ma è un vuoto che in qualche modo scalda e conforta, muove la speranza verso una forma di consapevolezza in un certo senso superiore. Forse non c’è niente dopo la morte, forse sì. Sicuramente non c’è niente giù su quella terra, tranne una linea di tempo effimera che brucia tra le mani.

Sarà stata l’esperienza mistica di crescere insieme, e guardare il mondo che prende forma ed aver voglia di fuggire. Oggi che tu te ne sei andato, questo spazio definitivo che toglie il respiro è molto più di una tentazione. Il cielo esiste, e noi non ne sappiamo niente.

Il cielo esiste, è tutto ciò che realmente possediamo. Esiste ed ha una voce ed è una vibrazione, troppo debole o immensamente forti per le nostre orecchie di membrane ed ossa. C’è chi lo chiama dimensione e chi lo chiama paradiso, chi ne ha paura e chi aspetta di arrivarci. Io rimango incollato al finestrino e contemplo questo nulla pieno di tutto. So che da qualche parte, tra questo azzurro, questo aracione e questo nero, ci sei anche tu.

Goodbye
Testo: Somewhere in the sky, 17 gennaio 2010.
Foto: Somewhere in the earth, Marco in un giorno in cui si viaggiava verso nord. Ottobre 2006.

Quien me ha robado el mes de abril?


06 Dic

Camminavamo lungo una striscia d’asfalto nera, serpente tra le montagne del Nord. Polvere e deserto tra noi e il passato e ogni sorta di futuro. I chilometri tra noi e la capitale si contavano in termini di migliaia; non si contavano più. Una casa nascosta tra pietre e cactus fu una porta aperta su vino e calore. Una casa tra pietre e cactus, e un uomo con gli occhi di ghiaccio dietro la porta, “gli amici della notte sono anche amici miei”, disse.
Poi prese la chitarra ed iniziò a cantare. Era boliviano, ma in quel momento era soprattutto una voce, e non c’era nient’altro che la sua voce, entità piena e carica di una nostalgia misteriosa.
Cantò un’ora o forse una notte, ed erano storie di montagne e asfalto e polvere e deserto e notte e noi e tutto.

Storie che ancora oggi risuonano e continuano, che si ripetono silenziose nell’oscurità del quotidiano.
E noi si continua a camminare, inseguendo altre voci e altre notti e nuovi deserti.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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