Archive for the ‘Luoghi’ Category

Hobohemia is my place to be


19 Ago

No Hobos Any More

Hobohemia è la vita reale.
E’ l’incontro tra le genti, lo scontro, l’insieme delle strutture ridotto alla sola legge del buonsenso.

Se il paese muore, è anche un po’ colpa nostra.
Se non hai il coraggio di difendere, è anche un po’ colpa tua.

Hobohemia è musica, liberazione dalla musica, spontaneità.
Hobohemia sostituisce “il paese” con un senso più ampio e ristretto, individua la patria nella stanza di un amico o nell’inverno scorso, osserva riflette si abbandona e ci prova.

Hobohemia, mercoledì 21 agosto, sono un gruppo di ragazzi, emigranti o figli di emigranti, che riaprono la scuola elementare di Trappa, la stessa scuola elementare in cui forse studiarono i loro genitori, prima di andarsene via.
[Hobohemia è fatta anche di questo, della scheggia sotto la pelle di questa recente epoca in cui in italia circolavano i soldi, e allora venivano ristrutturate alla grande le scuole elementare, prima ancora di accorgersi che quegli stessi soldi si erano portati via i bambini che avrebbero dovuto riempirle. Hobohemia, mercoledì 21, sono questi ragazzi che per due settimane ritornano a Trappa, e si chiedono perché non sia possibile pensare di vivere lì.

Mercoledì 21 agosto, Hobohemia vorrebbe provare ad ascoltare, indurre a suonare, coinvolgere i nemici, e giocare a giocare. Senza pretese, perché i puristi dell’identità Hobo poi si offenderebbero, se l’obiettivo non fosse semplicemente il non avere obiettivi specifici, il vivere tutto come una poesia o forse solo come un antidoto alla noia, o forse era come disse Kepha, “tutte le sere, quando spengo la luce, parlo con Dio e gli spiego che io ho fatto la mia parte. Gli dico che ora tocca a lui”.

Il film racconta di un pezzo di vita vissuta pochi mesi prima, pochi chilometri più su, negli stessi boschi sopra la stazione abbandonata di Trappa. Racconta tutto quel che non si vede, e forse si intuisce solamente, perché una videocamera non potrebbe essere così potente: racconta di un filo invisibile tra una trascurabile valle nelle alpi marittime e un gruppo di giovani in andalusìa, un filo invisibile che parte da un’estate 2012 e arriva nell’epoca del leggendario West, quando l’occidente correva verso la sua frontiera.

Sono cambiati i tempi, e lo si capisce dalla percezione degli spazi.
Nel mondo descritto da Nels Anderson, le pianure sconfinate venivano tracciate da nuove ferrovie, solcate da città nate sul nulla che crescevano imperiose.
[Nella stessa epoca, a Trappa, il regno d’italia costruiva le sue ferrovie. La mano dello Stato raggiungeva le valli più isolate, pretendeva di ispirare fiducia e protezione].
Nel mondo captato dal film, le pianure sono diventate valli strette e boscose. I palazzi di granada sono tutti pieni. E quel che rimane vuoto, diventa invisibile.

Hobohemia, comunque, non è un film.
La sua immagine migliore prende forma con la musica, che non significa nient’altro che se stessa.
E infatti tutto avrà un suono, e il suono sarà l’incontro.

Per l’occasione Leonardo Lacarne, protagonista del film, quella stessa notte se ne tornerà a Granada.

<3


07 Lug

<3

Se saliranno – e sapranno attendere –
aspetteranno insieme
il tacito miracolo, umile prezioso e bello
del tuo sbocciare
del tuo fiorire che sfida il gelo crescente;
e vedremo – poiché essa verrà – la ritornante allodola,
(skylark: gioco e splendore celeste)
rapida nel suo volo, sul bacino d’argento
delle sorgenti scendere, a bersi un sorso di cielo.

E sarà la nuova alba, regalata dalla notte;
per le sentinelle dell’aurora:
Sentinella che ora è della notte?
Sentinella che notizie porti dalla notte?
E la sentinella: Viene il mattino e poi anche la notte,
se volete domandare, domandate,
mùtate di mente, venite!

E troveranno, tra il gelo dei cuori impietriti
e il disgelo della nuova primavera,
che ivi sono pietre e pietre,
e che ivi sono cuori e cuori
e vi sono cuori che sono di pietra
e vi sono pietre che sono di cuore.

E i tuoi occhi contempleranno il Re nella sua Bellezza,
e il tuo cuore si dirà nei suoi terrori:
dov’è colui che registrava,
dov’è colui che pesava,
dov’è colui che calcolava,
dov’è colui che ispezionava le torri?

 

[Giovanni Conterno \\ Profeta Isaia]

Il sole non è che una stella mattutina


15 Giu

L'ombra del camminante

Io lasciai i boschi per una ragione altrettanto buona di quella per cui mi ci ero stabilito. Forse mi pareva d’avere altre vite da vivere, e di non potere dedicare altro tempo a quella sola.
E’ notevole con che facilità e insensibilità noi prendiamo una certa strada e ci facciamo un sentiero ben tracciato. Ero là da appena una settimana, e già i miei piedi avevano segnato un sentiero dalla mia porta alla riva dello stagno.

Imparai questo, almeno, dal mio esperimento: che se uno avanza fiducioso nella direzione dei suoi sogni, e cerca di vivere la vita che s’è immaginato, incontrerà un inatteso successo nelle ore comuni. Si lascerà qualcosa alle spalle, passerà un confine invisibile; leggi nuove, universali e più libere cominceranno a stabilirsi dentro e intorno a lui, oppure le leggi vecchie saranno estese e interpretate in suo favore, e in senso più ampio.

Così egli vivrà con la licenza di un più alto ordine di esseri.

Hobohemia


24 Mag

Perro silbando

Tutto nasce per sbaglio, tutto cresce per gioco.
Hobohemia è  un esperimento che non vuole provare niente, semplice incrocio di casualità.

E’ una storia dell’estate scorsa.
Kiki scende da un treno a Genova Principe (“biglietto non convalidato!”), un abbraccio sincero, quanti anni sono che non ci vediamo?
Kiki. Impossibile presentarlo. Sarebbe il personaggio perfetto per un film.
[Hobohemia, appunto].

Andiamo in macchina verso Viola.
Arriviamo di notte.
Kiki è venuto da queste parti per vivere queste parti, vorrebbe lavorare nei boschi e dividere pane e formaggio con vecchi pastori, ma vecchi pastori non ce ne sono più.

Inizia la notte.
Sono cinque anni che non ci vediamo.
Io e Kiki ci siamo conosciuti in Colombia, poi ci siamo ritrovati in Cile, quando faceva il badante dei suoi anziani e meravigliosi nonni materni.
“Sai, finalmente ho trovato un popolo, un qualcosa con cui identificarmi”.
Mi parla degli Hobo, lavoratori migranti, romantica realtà dell’America dei pionieri.
Mi descrive il loro linguaggio, cerchiamo insieme su internet traccia delle loro simbologie.
Io intanto accendo la videocamera. Non si tratta di immortalizzare il momento, di renderlo in qualche modo eterno. Accendo la videocamera perché quello è il modo migliore per vivermi a fondo quel momento.

Due mesi più tardi, decido di iscrivermi a un dottorato.
Kiki è ancora a Viola, ogni tanto andiamo a lavorare insieme nei boschi.
Per scandire il ritmo dei colpi di rastrello, lui canta, e scrive i testi sul momento.
In un certo senso, sembra di essere nelle piantagioni di cotone. America anni Venti.

Vado a trovare il mio professore, anche lui non lo vedo da tempo.
“Vorrei qualche consiglio su manuali di sociologia, qualcosa di stimolante e nascosto”.
Il mio professore mi consiglia tre titoli appassionanti.
Uno di questo è “The Hobo. Sociology of the homeless man“.
Lo prendo come un segno del destino: a quel punto abbiamo una storia.

Hobohemia era il quartiere dove si ritrovavano, tra un movimento e l’altro, le decine di migliaia di Hobo che vagabondavano per gli Stati Uniti.
Hobohemia è film che prende corpo intorno a Kiki, è il mondo popolato dai personaggi che lui incontra.
Ci sono vecchi contadini, giovani occupanti di case sfitte, riciclatori di eccedenze alimentari, custodi di castagneti millenari. E tutti galleggiano in un mondo di monumenti che crollano, di linee ferroviarie che chiudono, di una “precarietà occupazionale che è figlia del sistema economico in quella specifica epoca”.
E’ la realtà del mondo quotidiano, condensata nelle piccole storie di chi costruisce castelli di grande dignità, “negli spazi vuoti lasciati liberi dalla società dominante”.

Hobohemia, quindi, contiene tutto e non abbraccia niente.
E’ uno sguardo partecipato, come partecipato era il ruolo di Anderson, nel redigere l’etnografia scritta nel 1923.
Il gioco del montaggio ha seguito lo stesso approccio degli Hobo, che scrivevano poesie per poi abbandonarle sui treni, poesie che venivano scritte per il solo gusto di scriverle.
Hobohemia contiene livelli narrativi diversi, che lungo i 59 minuti del film si annullano da sé.
Ma allo stesso tempo – inutile negarlo – Hobohemia gioca a saltellare tra documentarismo urbano, osservazione antropologica, esplorazione biografica (Kiki),  finzione narrativa e sperimentazione audiovisiva, anche grazie alle musiche del maestro Pier Renzo Ponzo.

Sociologia visiva?
Molto di più, qualcosa di meno.
Uno sguardo Hobo.

Senza Titolo


28 Apr

Lobo.

[davanti a un carretto che vende crèpes alla nutella]
Sai dov’è la stazione?
No. Ma so che non ci sono più treni. Comunque anch’io sto andando lì.
Ah. E perché vai lì, se non ci sono più treni?
Per fare una foto.
Vuoi fare una foto ai treni, che non ci sono più?
No. Ci ho provato cento volte, ma viene mossa.
Hai provato ad aumentare l’esposizione?
Credo sia un problema di fuoco. E’ difficile mettere a fuoco qualcosa che non c’è più.

[sull’autobus tratta urbana C]
Ma cos’è quel libro che stai leggendo?
Si intitola “bibbia”. Credo che in qualche lingua antica significasse “corteccia interna del papiro”.
Ah. Anch’io dovrei averlo da qualche parte. Ma una versione diversa. La mia ha la copertina blu.

[di fianco a un manifesto con il faccione di shimon peres]
Quindi anche tu sei un pellegrino.
No, assolutamente. Guardami. Io oggi sono qua, ma domani a quest’ora sarò a Tirana.
A Tirana? E che ci vai a fare a Tirana?
Boh. Suppergiù, quel che faccio qua. Annuso. Mi muovo. Guardo la gente. Musica nelle orecchie.
Quindi vuol dire che sei un pellegrino.
No. Un pellegrino guarda la terra. Pellegrino. Non lo senti, cosa significa? Peregrinare. Per agro andare.
E quindi?
E quindi, per esempio… guardati intorno. In questi precisi giorni potresti fare una mappa dei ciliegi, dei meli, dei peri. Fioriscono tutti insieme, e questo è il momento. Tutto il bianco che vedi, sono loro. Un pellegrino guarda queste cose, ci fa attenzione. Io no.

[sotto la sede provinciale dell’a.n.p.i.]
Ma perché prima hai detto che sono un pellegrino?
Boh. Perché è una parola che nessuno usa più.
E come dicono adesso?
Viaggiatore. Freelancer. Videomaker. No, aspetta. In effetti non dicono più niente. Non si usano più in senso generale, quelle parole.

[E chi darà occhi ai fabbricanti del gelo?]
Bella, questa frase. Ma non ci doveva essere l’indicazione di un luogo, lì sopra?
Perché? Che c’entra?
Non so. Fino ad ora mi sembrava che ci fosse sempre.
C’era, infatti. Ma questa frase è meglio.
E’ bella davvero. L’hai scritta tu?
No. L’ho letta su un libro scritto da un prete.
Ah, sempre quello della corteccia e del papiro?
No. Un libro che ho trovato nella portiera della macchina di un amico, cercando il cavo dell’ipod.
E come fai a sapere che era un prete?
C’era la foto. Aveva il colletto bianco.

[alla fine del discorso]
Però io lo vedo come un discorso di bellezza.
Non esistono i discorsi di bellezza. L’ho visto in un film. C’era una ragazza, nuda, e diceva che sentiva estasi e calma. Abbracciato a lei c’era un ragazzo, nudo, e diceva che sentiva prudere e tirare. Il tema del film era l’incomunicabilità tra uomini e donne.
Quel film parla del mondo com’era una volta. Prima della Sesta Umanità.
E come sarebbe la Sesta Umanità?
Le donne prendono consapevolezza del loro potere, e lo usano per prendere per mano gli uomini e raggiungere, insieme, l’Unione. C’era scritto su un libro.
Quello del papiro o quello del prete?
Ma è la stessa cosa. Per scrivere un libro, in ogni caso devi essere un prete.

Esperando a Inaniel


02 Apr

Era lì, alla fontana vicino al palo della luce.

Aggrappato con le unghie a questi scampoli d’inverno, dice.
Ci potresti credere?
Aria fredda.
Foglie cariche d’acqua.
Fango ovunque.

Buahahahahaha.
Sei impazzito?
Primavera.
Prova ad andare a piedi,
di notte,
verso il ponte.
Mille voci tutt’intorno.
L’acqua si scioglie, ma si scioglie in mille suoni diversi.
[Succede anche di giorno, ma di giorno non lo vedi].

Si guardavano come se fossero stati rinchiusi, tutto l’inverno.
Lì, a dieci metri di distanza.
Qualche contatto sporadico, ma non avevamo niente da raccontarsi:
entrambi stavano vivendo la stessa storia.

Eppure ti dico che preferisco l’inverno, meglio così.
Mancanza assoluta di colori: chi l’ha detto?
Io d’inverno invece riesco a godere meglio delle sfumature.

Quante volte ce lo siamo detti?
L’anno scorso, forse a ruoli invertiti, ci stavamo menando le stesse fiabe.
E’ la notte la cornice di tutto, è nel buio che si avanza a passo più forte.
E lo sai perché?
Perché di notte ti riesci a scrollare dalla pelle tutto il superfluo.

Poi si sono salutati.
Non mi lasci niente?, le ha chiesto
Hai bisogno di qualcosa?, gli ha risposto.

Io ho bisogno di una canzone.
Io ho bisogno di una preghiera.

Kibera Slum


18 Mar

Carne

“Il signor Pickwick sedette quindi ai piedi del suo lettino di ferro e cominciò a chiedersi quanto potesse guadagnare in un anno il guardiano affittando quella sudicia stanza. Dopo essersi accertato per mezzo di un calcolo matematico che in quanto a rendita annua quel locale corrispondeva ai proventi dati dalle case di una certa strada nei sobborghi di Londra, passò a chiedersi da che cosa si fosse lasciata allettare a entrare in una soffocante prigione la povera mosca venuta a passeggiare sui suoni pantaloni, quando avrebbe potuto scegliere tra tanti altri luoghi ben più arieggiati, e la conclusione a cui giunse senza possiblità di scampo fu che quella mosca doveva essere impazzita”.

[a pagina 761 de “Il circolo Pickwick” da una panchina della baraccopoli di Kibera].

Olenguruone


15 Mar

Olenguruone

Sapore inequivocabile di giorno vero.
Su, nella polvere, a duemilasettecento metri di vita.
Dove il latte caglia nella cenere, e le patate cuociono con le ortiche.

Sono sceso dalla macchina e ho toccato un canto.
Una canzone come un mantra,
un benvenuto che ha lo stesso suono dell’addio.

Fermati a mangiare con noi.

I vecchi sorridono senza pietà,
senza più consapevolezza per le cose del mondo.

Tutt’intorno sono uomini con la zappa,
sono campi verdi e nuvole.

La ragazzina con lo sguardo fiero risponde a tutte le domande,
poi ne porge lei una a te.
E dimmi, tu sposeresti mai una ragazza nera?

Io non sposerei mai un ragazzo bianco, dice lei.
Non sarei così sicura di poter continuare a mangiare con le mani.
Sai com’è, magari accetterebbe le differenze tra noi
però non sono sicura che mi capirebbe.

Là dietro mamma africa e le sue voci,
un diluvio.
mamma africa in un respiro,
sul collo.

Quindi tutto questo è solo per oggi,
mamma africa?

Non pensare al latte cotto nella cenere,
non pensare al fuoco che muore.
mamma africa sa quel che è giusto per te,
solo che ancora non te lo dice.

Immagine e Azione.


02 Mar

Kibera Masks

Stazione di polizia di Kibera, lo slum di Nairobi.

Tensione nell’aria
eccitazione diffusa
vibrazione collettiva.

Dopodomani ci saranno le elezioni.

E volano gli elicotteri sulle nostre teste.
E squilla la tromba dalla guardiola.
Un centinaio di adolescenti armati battono i tacchi e saltano sull’attenti.

Arriva il comandante, arriva il generale, arriva il colonnello.
Tutto questo sembra il set di un film con dittatori anni 70.
Nell’architettura del contesto
nell’arredamento degli uffici
nell’abbigliamento dei presenti
leggi il fascino perverso di un mondo Altro.

Tutto questo è il set di un processo elettorale particolarmente importante, nell’Africa Orientale dell’anno 013.
Cosa succederà dopodomani?

Nel 2008, alle ultime elezioni, il disordine e la violenza etnica sono esplosi a fondo in tutto il paese, provocando un centinaio di morti e migliaia di problemi.
A Kibera, la baraccopoli più grande di Nairobi, la rabbia è esplosa contro la polizia.
Il novanta percento degli abitanti di Kibera è di etnia Luo (candidato Raila Odinga).
Il novanta percento dei poliziotti è di origine Kikuyu (candidato Uhuru Kenyatta, figlio d’arte).

Il sessantacinque percento dei kenioti vive negli slum.

Altre considerazioni qui.

Muzungu*


26 Feb

Nairobi.
Umanità e polvere, la pelle d’ebano della sua vita che si muove per strada.
Un milione e mezzo di persone nasce nelle baraccopoli.
La popolazione è fatta di etnie.
Ieri una signora mi diceva che i Luo sono alti, forti, ma anche un po’ viscidi. Parlano a bassa voce, hanno l’attitudine del comando.
[chi sono i razzisti quindi?]

Nairobi è fatta anche di musica.
Domenica la band ha suonato cinque ore almeno.
C’erano quattro percussionisti e una sola melodia.
La musica a Nairobi è un mantra verso lo stato di tranche.

Nairobi però sono soprattutto gli sguardi.
Finestre sincere su un’esistenza più semplice del previsto.
Nonostante la polvere
Nonostante lo slum
E grazie alla musica
A Nairobi la vita vibra d’intensità.

*In Swahili, “muzungu” è la parola che si usa per descrivere l’uomo bianco in costante – e inconcludente – movimento.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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