Archive for the ‘Realtà virtuale’ Category

Our times


10 Lug

L’importanza di chiamarsi Ramon


08 Mar
“Il ramo di un albero è un bastone virtuale”
Pierre Lévy

…proseguono i tentativi di analisi delle cosiddette “sociologie da facebook”, nuova dimensione diversamente reale, che presto o tardi ci ingloberà tutti nel suo paramondo fatto di “mi piace” e pecore virtuali.
Scopro sulla mia pelle i potenti effetti di questa controversa sostanza virtuale, in quanto a “furto di personalità“. Lo scopro attraverso un processo tutto sommato involontario, di cui mi ritrovo, adesso, vittima e mandante.

Il fatto è che tempo addietro (parecchio tempo addietro, nell’era geologica della rete), ho cambiato il mio nome di accesso su quella piattaforma virtuale. Mi sono trasformato in “Ramon Pelotas”, forse perchè mi allettava l’idea di essere rappresentato da un nome particolarmente demente, forse perchè in un pueblo della Colombia centrale avevo passato una piacevole giornata con il pazzo del villaggio, un ottantacinquenne senza denti ma piuttosto abile nella charla, non ricordo nemmeno più io il motivo. Ramon Pelotas, appunto.

Fatto sta che sono diventato Ramon Pelotas, e la mia vita è cambiata. Cioè no, ho continuato ad essere quello che ero, ma per molta gente (gente “virtuale”) mi sono trasformato in una nuova identità. Un’identità che pubblica foto e video e musiche e messaggi, che commenta e condivide, che ha una faccia conosciuta (anzi trentacinque, tante sono le mie foto del “profilo”), e che, soprattutto, è assimilato a un nome. Ramon Pelotas.

Accade infatti che io viva la maggior parte del mio tempo in un luogo che è sempre “altro” rispetto a questi “amici” virtuali. Gente che comunque ha condiviso un certo periodo di tempo con l’alter ego di Ramon Pelotas, compagni di scuola o figure varie, con cui oggi, però, si mantiene – vicendevolmente – una relazione puramente virtuale. Facebook come quel che un tempo fu la chiesa, un luogo dove entri con relativo scarso interesse, soprattutto per dare un’occhiata alle faccie conosciute che potresti trovarci dentro.

Accade anche però che io di tanto in quanto torni nel mondo degli umani. Nella birreria frequentata da buona parte dei miei “amici” virtuali, per esempio – una seconda chiesa, o una seconda “farmville”. Ebbene, è lì che ritrovo facce di profili conosciuti, vecchi compagni delle elementari e canaglie di sempre, e molti, che si sorprendono di vedermi riapparire in carne ed ossa, si apprestano a salutarmi e scambiare due parole. “Allora Ramon, che racconti di nuovo?”

E’ una metamorfosi lenta, ma definitiva. Per molti di loro io continuerò ad essere un’immagine virtuale, un’immagine associata ad un nome che non è il mio, ma non importa. Facebook è la nuova chiesa, ricordiamolo. La nuova verità. Già me li vedo, sul bordo della pensione, chiedersi che fine avrà fatto quel Ramon. Me li vedo appoggiati intorno alla rete di un cantiere, a bestemmiare contro gli operai incapaci, commentando (e magari cliccando su “mi piace”) la novità del giorno: “ti ricordi quel Ramon? Quello che era alle elementari con te. E’ morto. Ho visto i manifesti. La famiglia Pelotas tragicamente annuncia….”

The work is done


04 Mar

Tra i vari individui più o meno loschi che popolano la fauna del mio facebook, c’è anche un marine statunitense dotato di mitragliatorazzo e paracadutato per esportare democrazie sulle montagne dell’afghanistan.
Ora, non sto a dilungarmi sulle motivazioni che hanno spinto questo tizio a gettare la propria gioventù alle ortiche per arruolarsi in un esercito che ti confisca almeno 5 (cinque) anni di vita. Dirò soltanto che non sono così dissimili da quelle dei suoi colleghi, sempre le solite: un Paese socialmente devastato, che non riconosce un minimo di assistenza pubblica a chi proviene da situazioni famigliari complicate, che ha come unico requisito per tutto (compresa l’istruzione universitaria) il saldo del conto in banca. Un tempo queste situazioni erano risolte dai preti (ma in quel caso il periodo di segregazione era superiore ai cinque anni), oggi, almeno negli Stati Uniti, ci pensa l’esercito. Ti arruoli e ti diamo quarantamila dollari e un’istruzione (militare) universitaria.

Capita quindi di trovarsi di fronte alle foto di questo marine mitraglia-dotato, scattate dal suo blackberry e pubblicate via feed sul facebook. Va quindi riconosciuto che, anche se non sarà democrazia, questi americani un po’ di connessione la portano, a quei terroristi afghani. Bene, il primo particolare che salta all’occhio è la mascella prominente, di questo mio conoscente. L’ultima volta che lo vidi non era così, aveva lineamenti normali, e adesso è diventato assolutamente uguale a tutti gli altri, un novello Rambo (un amico di ritorno da quelle parti mi assicurava che sono tutti così, questi texas ranger odierni).

Poi c’è la lattina di fanta. Foto numero 17. Adorna di caratteri cirillici, fotografata su un aereo. La didascalia sotto informa che si tratta di una Fanta kirghiza. Dice che le dimensioni della lattina sono un po’ diverse dal normale (da quelle made in USA), e anche il sapore un po’ diverso. Ne deduciamo che anche in Kirghizistan la democrazia è stata esportata, ma in lattine leggermente diverse.

Seguono quindi le foto dei nostri eroi. Sbarbatelli, sorridenti, nella stessa posa che ti aspetteresti da una quinta liceo in gita a barcellona. Sono in sette, e non c’è nemmeno uno WASP. Sono tutti latinos, o asiatici, o neri. C’è anche una ragazza, orientale. Sono tutti americani, quelli veri, quelli nuovi. A un certo punto c’è anche una foto del marine con un tizio con la barba lunga, un potenziale terrorista, ma la situazione è under control: la didascalia sotto dice: “Building friendship with the locals”. Che tradotto in parole povere, stando a quella fonte di cui sopra, significa comprare i servigi della popolazione locale a peso d’oro. Questi adolescenti del minnesota dopotutto non sanno nemmeno quale sia la capitale dell’afghanistan, né quante volte questo paese sia andato sulla Luna, e quindi c’è bisogno di friendship un po’ per tutto – soprattutto per non farsi sparare addosso.

Poi finalmente le foto, in azione. Gli sbarbatelli reggono adesso un enorme fucile mitragliatore, con il mascellone sorridente. Qualcuno, sotto la foto, scrive “odio vederti così, man”. Il mio amico risponde che “l’M249 è necessario al 100%, quando sei qua”. Segue una discussione in cui qualcuno scrive che è un peccato saperlo in Iraq, c’è un bel casino, lì. A quel punto il mio amico fa notare che è in Afghanistan, non proprio in Iraq. E dice che vorrebbe essere in Iraq, in quanto “south asia sucks, but iraq is richer than afghanistan, and it’s safer! The U.S. is getting ouf of Iraq because the work is done, the place is stable for the most part, afghanistan is out of control”. A questo punto la conversazione ritorna su temi più morbidi, “quando tornerai (when you’ll be back to civilization) faremo una festa, ti farò un culo così ai videogiochi”, eccetera.

Questo, tanto per dirne uno, è un esempio del prototipo del soldato nord-americano in Iraq (ups pardon, in Afghanistan). Non credo siano necessarie considerazioni aggiuntive, o forse sì.
Pare ci sia ancora chi creda alla storia dei buoni e dei giusti contro i terroristi infedeli, e nella democrazia a forma di lattina.

Tuned out


03 Mar

Maestro, io sto facendo tutto quel che mi ha consigliato lei, ho acceso il computer, ho spento la televisione, sto leggendo i giornali, mi sono iscritto a communities virtuali dove si commenta quel che succede, guardo i video su youtube e altri siti, compro gli approfondimenti settimanali dei grandi quotidiani in edicola, mi sintonizzo su radio divulgative quando sono in macchina, eppure c’è qualcosa che non funziona, tutta l’informazione che ricevo è vagamente inquietante, tutta l’informazione che condivido mette di cattivo umore i miei amici, tutte le notizie che processo mi parlano di un mondo che si comporta in maniera esattamente opposta a quanto direbbe la logica, Maestro, non so se sono io il problema o se sono tutti gli altri ad essere impazziti, Maestro, e questo non è bello, perchè prima o poi dovrò uccidere qualcuno se non vorrò che siano gli altri a uccidere me, non voglio arrivare a questo, Maestro, non voglio, e allora spengo tutto e decido che se questa è la realtà, preferisco continuare a ignorarla.

Sarayaku giorno 20 – La Verità


07 Gen

El canto del sabio

Sarayaku è una comunità indigena d’Ecuador, nascosta nella regione Amazzonica, a sei-sette ore di canoa dal centro urbano più prossimo. L’ambiente naturale è uno tra gli ecosistemi più ricchi del mondo, con centinaia di specie animali e vegetali protette.

La sua gente, fin dall’alba dei tempi, vive con l’ambiente circostante in un rapporto di equilibrio perfetto. Le decisioni vengono prese dai saggi, gli shamani, che tramandano il loro sapere per via orale, attraverso cerimonie che prevedono il dialogo con gli spiriti dei vari elementi naturali (acqua, aria, serpenti, pietre, cielo, eccetera). La gente di Sarayaku ha l’abitudine di svegliarsi di buon mattino, prima dell’alba, e intorno al fuoco ogni membro della famiglia racconta agli altri i suoi sogni, che vengono interpretati dai più saggi e investiti di un significato.

Anche l’organizzazione quotidiana è strutturata secondo tradizioni antichissime: gli uomini cacciano, pescano e costruiscono case, le donne si prendono cura della casa e della chakra, (l’orto), e preparano la chicha, una bevanda leggermente alcolica, che è la protagonista di ogni riunione sociale.

Nel 2003, alcune multinazionali del petrolio (tra le quali, AGIP) hanno tentato di invadere il territorio Sarayaku (135.000 ettari circa), supportate e difese dai soldatini dell’esercito ecuatoriano. Al contrario di numerose altri popoli indigeni locali, che hanno accettato gli inganni  di chi promuove una falsa ricchezza fondata sulla distruzione di un ecosistema e di una natura, Sarayaku ha scelto di combattere, di lottare “per l’unico patrimonio possibile”, il proprio territorio. Uomini, donne e bambini hanno abbandonato le loro case per quattro mesi, impegnati a respingere gli invasori stranieri e nazionali; i dirigenti comunitari sono stati accusati di terrorismo e sabotaggio.

Forti della loro consapevolezza e dell’appoggio ricevuto da numerose ONG canadesi ed europee, i Sarayaku hanno resistito. Nel marzo 2011, probabilmente, la Corte Interamericana dei Diritti Umani sancirà definitivamente il loro diritto all’autodeterminazione, e sarà una sentenza storica, in America Latina. Ma soprattutto, consapevoli della necessità di esistere anche fuori dalla Selva, la gente di Sarayaku ha intrapreso un cammino di organizzazione politica e comunicazione, e studia sul campo una proposta di sviluppo umano in equilibrio con l’ambiente e le tecnologie disponibili. Un modello di civiltà all’infuori del capitalismo.

2011 - Space Odyssey

A Sarayaku, oggi, la gente usa il Mac e trasmette dalla sua radio. L’elettricità è fornita da pannelli solari; la connessione al mondo, da antenne satellitari che portano internet wireless. I giovani studiano l’inglese e riprendono la coltivazione di piante medicinali amazzoniche, i più adulti organizzano la resistenza indigena pensando a un domani che prende forma tre, quattro, cinque generazioni più in là. Uno di loro, Marlon Santi, è Presidente della CONAIE. Tutti insieme, nei giorni di minga (lavoro collettivo), camminano svariati kilometri su e giù per montagne e fiumi, con il machete in mano.

Se il Futuro ha ancora un senso, si nasconde a Sarayaku.

Sarayacu giorno 2


20 Dic

Il fiume più secco del previsto, e un carico extralarge di benzina che la comunità impiegherà per cercare nell’interno-selva palme buone per costruirci tetti. Risultato: ritardo nei permessi per partire (e non essere arrestati per contrabbando di combustibile con Perù e Brasile), lunghi e frequenti incagliamenti (scendere e spingere, please), e il viaggio spezzato da una notte passata a riposare, in una capanna abbandonata. Venti ore di viaggio anzichè le cinque-sei previste.

Sarayacu però è una conferma. Le stesse facce di un anno prima, e una nuova generazione di neonati. La stessa, sorprendente organizzazione sociale di una comunità che sa perfettamente cosa vuole e come pretenderlo, e si oppone alla costruzione di strade ma vuole radio e internet veloce.

Quindici giga di immagini nei primi due giorni. Tutto è fotografia, cartolina, umanità in movimento. Sui tavoli di legno di una capanna equatoriale, un indigeno di quarant’anni chatta su msn e un paio di ragazzi ascoltano bob marley. Emancipate yourself from mental slavery.

Amazzonia interattiva


18 Dic

Di Sarayacu si era già parlato.
Nel frattempo, niente è cambiato: la Comunità continua la sua “resistenza partecipata” difesa dallo spazio naturale della forestamazzonica, mentre il mondo di fuori impazzisce ma tenacemente si afferra al suo equilibrio precario.

La novità, piuttosto, è un processo di “digitalizzazione della memoria storica” che i Sarayacu hanno deciso di intraprendere, per partecipare sempre più attivamente, insieme all’universo dei popoli nativi americani di cui sono parte integrante, alla costruzione di un mondo e di un modo di vivere il mondo diverso da quello imposto dalla cultura dominante. Ed è una bella notizia.

Per i prossimi giorni, quindi, “noi” (dove per noi si intende un gruppo omogeneo disperso tra il parallelo tre, Torino e Kabul) seguiremo questo processo con videocamera e buona energia, e poi qualcosa succederà. O forse no.

Delle due l’una


10 Dic

…cioè non ho capito, questo Assange ha fatto sesso senza preservativo e per questo è stato condannato ed inseguito dall’interpol e incarcerato?? Ma allora è un martire del cattolicesimo! Che viene incarcerato per seguire alla lettera le istruzioni del papa!
(da uno spettacolo di David Riondino)

Deserti affollati


04 Dic

Sulla finestra, angelica scrive “Ho nostalgia di qualcosa che non ho mai vissuto”. A Simone Marino, Francesca Ferrero e altri due piace questo elemento.

Agorà MMX d.C.


13 Mag
Nastas'ya Filippovna dice:
este mundo este tiempo que sin duda no es aun postmodernidad es hipermodernidad... quiere llevar lamodernidad a su extremo y es la epoca q estamos viviendo la modernidad quiere agotarse hasta acabar con lo que mas pueda
el medio ambiente
la gente
lo puro!
lo virgen!
y ya casi está listo este trabajo..
KKinsk dice:

si, el golpe de cola final

Nastas’ya Filippovna dice:
y lo peor
es que está acabando con el romanticismo
con los ultimos romanticos
fuertes de mente
que exigen una revolucion mental..
que se apasionan
con este mundo
porq han de tener la capacidad de entenderlo
y para volver al tema
cuando..
o mejor..
a veces..
siento que acaba con el amor.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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