Posts Tagged ‘Colombia’

Acque torbide


13 Lug

Il motore spinge verso l’origine del sole. Mentre le strade si rimpiccioliscono e la cittá rimane alle spalle, il paesaggio si accende calmo insieme al giorno che nasce. Si trasformano gli edifici, si dirada la presenza umana, scompare ogni traccia di artificialitá sotto le lagune che annunciano l’imminente, grandiosa presenza del fiume.

Rio Magdalena appare da lontano, lucido e ingannevole con le sue acque stanche. Ricordo l’aria nei capelli su una bici in riva al Danubio, ritorno in quel giorno di aprile quando vidi nascere il Gigante, giù a sud tra le Ande; silenziosamente celebro il suo carico di Storia che dá vita al miraggio di battelli in navigazione, eleganti genti d’altri tempi, amori ai tempi del colera. Vestigia di tempi andati, quando ancora i caimani scendevano fino a Barranquilla e l’Acqua era fatta d’acqua e non di chimica come oggi.

La porta sull’altro mondo è la chiatta che soffiando trascina sull’altra rima. Lì inizia veramente un mondo alternativo, un sistema imperfetto dove le regole sociali sono decisamente più semplici e i cuccioli d’uomo si confondono, nudi nell’erba e nella polvere, con neonati d’altre speci. Dòmina ancora la legge del più forte, nelle infinite campagne ai bordi di Pivijay. Costituzioni e Polizie sono rimaste sull’altra riva del fiume, Bogotà è immensamente lontana e quasi nessuno l’ha mai vista, la lotta di classe si gioca tra i parametri di saccheggi alle haciendas e sistemi d’Autodefensa. Che significa, in termini concreti, territorio paramilitare.

Fino al 2005, era impensabile per l’italiano co-pilota del Veterinario (cioè il sottoscritto, storia lunga….)arrivare da quelle parti. Gli stessi colombiani, una volta attraversato il fiume, dovevano consegnare a qualche fosco personaggio un foglio dove dichiaravano ogni dettaglio sulla loro visita in quei territori di Zona Roja. Poi qualcosa è cambiato, e i gruppi d’Autodefensa, sulla promessa di un comodo espatrio negli Stati Uniti, si sono consegnati alla giustizia e hanno deposto le armi. Il proprietario della Finca mia destinazione, 3.000 ettari di cavalli e vacche, sconta i suoi 8 anni di pena da qualche parte in mezzo ai gringos.

Guerriglieri d’ombrellone


10 Lug

La televisione. Quest’oggetto, solitamente nero, praticamente sconosciuto al sottoscritto da due anni almeno, di tanto in tanto perde il suo logico uso di mero raccoglitore di oggetti riposti per accendersi, prender vita insomma, e dire qualcosa. Per metter le mani avanti, diciamo fin da subito che il palinsesto colombiano, oltre alla pubblicità e alle sempiterne telenovelas, non ha niente di meglio e niente di peggio da offrire rispetto a quello di altri Paesi.

Eppure l’altra sera, schiacciato nella morsa di individui silenziosi e grigi, mi sono ritrovato davanti ad una trasmissione di tal Pirry, una specie di “Iena” colombiana si potrebbe dire, per classificare il personaggio. Affrontava, il Pirry, un argomento effettivamente interessante: l’appoggio (ideologico ed economico) che ricevono le FARC dall’Europa, soprattutto dal Nord Europa. La schiera di sostenitori morali, invasati, simpatizzanti vari è infinita ed apparentemente incomprensibile, alla luce dei fatti. Mentre sullo schermo scorrevano immagini di 12enni di ronda a mitra in mano, per esempio, il responsabile di un’O.N.G. danese riusciva ad affermare: “le voci di bambini guerriglieri sono solo chiacchiere. Noi continueremo a vendere magliette “FARC-EP” per sostenere la lotta di liberazione del popolo colombiano”. Se da una parte si può comprendere il romantico idealismo che legittimava le FARC all’epoca della loro nascita, va detto che l’anacronismo e la disinformazione di queste genti è effettivamente agghiacciante, e ho visto schiere di colombiani incazzarsi notevolmente di fronte ad affermazioni di questo genere.

Poi, un’immagine mi è saltata alla cabeza. Una torrida estate italiana di qualche anno fa, un lungomare, la patetica sfilata di quegli individui tutti uguali che ogni estate vanno in overdose di Lucignolo e sfoggiano la stessa maglietta, o lo stesso occhiale, o lo stesso bracciale. E mi sono ricordato di quell’anno in cui la moda erano le magliette “Narcotrafficante”, o “Pura Polvo Blanca”, o “Cocaina Colombiana”, robe cosi. ¿Ti ricordi? E ancora una volta l’umana deficienza spiegó i piú illogici meccanismi.
(foto di alias Maktop)

Io vengo dalla Luna


06 Lug

Gente, il discorso è serio. Tra un paio di mesi devo (DEVO?) tornare in Italia, e voi non mi aiutate per niente. Leggo quotidianamente repubblica.it e il corriere.it, e rimango alquanto tumefatto da ciò che è diventato ormai il mio paese. Voglio dire. Una sagra di fighe e battibecchi. Una grande osteria a cielo aperto dove chi la spara più grande vince il quartino di vino, non importa ciò che accade altrove, gli spaventevoli intrighi dello stivale la fanno sempre da padrone.

Per fare un esempio. Un paio di giorni fa si è verificato un notevole atto terroristico a Minsk, una di quelle robe che se accadessero a Berlino o a Milano Marittima sequestrerebbero la morbosa attenzione dei media per due settimane almeno. Ciònonostante, è avvenuto a Minsk, e non ci sono motivi di rilievo per aggiornare gli italioti sull’avvenimento. Molto meglio approfondire il dramma del vestito da sposa a Rapallo, ovvio. Inutile sottolineare che Minsk è a 60 km dall’Unione Europea, che da quelle parti la gente spalma il lucido da scarpe per ubriacarsi low-cost, che il dittatore Lukashenko alla fine dei conti non si è mai permesso di attaccare la magistratura del suo Paese (stavolta con la P maiuscola) perchè svolgeva il suo sacrosanto lavoro giustizialista.

A tutto ciò pensavo nei giorni della liberazione di Ingrid. Alla sposa di Rapallo, alle mogli di Tronchetti Provera, alle allegorie del criminalnano e a tutti i pregiudizi che le massaie di Voghera riescono ancora (incredibili, stupende) a lanciare contro le popolazioni cosiddette extracomunitarie. Sugli schermi della televisione scorrevano le prime pagine dei più infimi quotidiani mondiali, ma della stampa italiana nessuna traccia, come è giusto che sia. Bella gente, anche il concetto di “terzo mondo” sta cambiando. Lo dicono i giornali, inconsapevoli, ogni mattina.

John Castaño


30 Giu

Vagava tra i tavolini dei ristoranti della citta’. Presenza costante, cordiale come un cameriere e piu’ convincente delle pietanze tipiche costeñas, proponeva da tempi immemori il suo ultimo capolavoro “solo per voi a 70.000 pesos”. Niente di nuovo nell’immenso supermercato dei disperati barranquillero, se non fosse che l’opera d’arte era lui. Originario della vecchia Cali, John Castaño si rivolgeva ai suoi potenziali clienti in inglese, a volte in francese. Un po’ come stendere la stuoia sulla spiaggia di Celle Ligure e ascoltare un napoletano gridare “Nice coconut fresh coconuuuut…”. Marketing alternativo.

John Castaño, semplicemente, aveva vissuto sei dei suoi cinquantaqualche anni in Spagna, in Francia, in Norvegia e in Olanda, e di quei giorni europei ancora portava il ricordo nel cuore, nei quadri e nella testa. Cosa avesse combinato da quelle parti alla fine nessuno lo ha mai saputo, erano ben chiari pero’ i motivi del suo ritorno: “l’inverno, parcero”. Nonostante lo spirito artistico che lo avvolgeva, non era riuscito a comprendere quel fantastico congegno che ha creato l’inverno per farci apprezzare anima e corpo l’esplosione della primavera.

C’era un qualcosa d’inquietante in quel personaggio. Un mistero che sorgeva spontaneo ascoltando il fiume in piena delle sue parole. Cosa ci faceva tra i tavolini dei ristoranti, a proporre solo per noi il suo ultimo, sempiterno capolavoro a 70.000 pesos? Tra i 13.000 pesos (4 euro 4) salario base giornaliero in Colombia, la risposta.

Luce, ombra, apoteosi di luce


23 Giu

Enfoque de luz roja en el blanconegro de tu piel. Flash. Luego todo desaparece, desaparecen los sentidos y solo tu presencia queda en la colchoneta de piedras. En la oscuridad total tu ya no existes cerca de mi, apoteosis y ternura llenan el aire, allà donde terminan mis dedos empieza tu hùmeda entidad y mis ojos ahora se mueren en el blanconegro de tu piel.

Dalle Alpi alle Piramidi, dal Mazzanarre al Reno -passando per Colombia- resiste in piedi la balla di cartone della Famiglia Perfetta. Bimbi, padri e nonni vittime e carcerieri di sè stessi nel sacrificio di un nome – o un cognome – esempio e guida per la società. Poi, si entra nel Mulino Bianco e si scoprono le crudeltà più insensate, gli stessi errori ripetuti da tre generazioni, l’odio reciproco come collante per infarcire le cene domestiche. Tutti attorno al capofamiglia, coi coltelli tra le ginocchia, nel tepor del focolare.

In nessuno dei 16 paesi impegnati all’Europeo si segue la faccenda come in Colombia. Davvero. Questa gente e’ completamente malata di calcio, soprattutto di calcio europeo, e arriva agli estremi di spiegarmi che tal Aquilani e’ un giocatore della Roma e non e’ un infiltrato nelle fila azzurre. “Logico “che oggi El Espectador cartaceo apra con la notizia dell’eliminazione degli adorati “azzurris”, logico.

Immerso nella brezza del mio letto gigante dalle lenzuola rosse e blu cercavo di raccoglier parole per spiegare ai piu’ cos’e’ stato l’addio di Compar Leo alla comunita’ barranquillera. Evidente l’infattibilita’ dell’impresa, non si puo’ certo dipingere lo straordinario personaggio a chi non ha il background per assimilarne l’essenza. Poi, il telefono squilla e Leo stesso mi annuncia, da qualche angolo di Colombia, che per l’Italia tuttavia c’e’ tempo. Ecco, that’s my friend.

Da qualche parte, sul Mar Baltico, oggi il sole non scende. La sua presenza calda irradia le lagune e feconda la terra e le menti. Con discrezione, con candida e paterna presenza brinda alla sua mezzanotte nell’angolo giù in fondo, dove acqua terra e luce si fondono nell’orgasmo della Natura. Quattro mesi di freddo, di buio e di vento scompaiono annichiliti dalla potenza dell’effimero.

Dateci dei dittatori sudamericani


14 Giu

C’è una cosa che mi fa sballare, anzi due. La prima è il colpo di genio di La Russa (ministro della difesa? La Russa? Si??), con i suoi soldati in cittá “ma solo per un anno”. La mia avversione personale contro qualsiasi divisa mi impedisce di commentare equilibratamente la cosa.

Meglio ancora, peró, le risposte del Di Pietro, o di tal ex-parlamentare dei Verdi Angelo Bonelli. E’ sorprendente l’inquietante disinformazione che serpeggia in Italia a proposito di Colombia, sorprendente e triste, se si considera che non è solo la massaia di Saluzzo a sparar le sue teorie su un posto lontano che nemmeno conosce, ma anche politici, mogli di Sarkozy, dottori e panettieri enunciano le loro veritá su questo strano paese cocainomane e dittatoriale.

Sia chiaro. Colombia continua ad essere il primo esportatore di Biancaneve nel mondo (e la Sicilia continua ad essere un ottimo approdo commerciale), e la sua situazione politica puó essere quantomeno criticata (non sicuramente da un italiano, che elegge per la terza volta el Padrino Pituffo, come lo ha definito un barista di Bogotá, piú informato sul mondo di Di Pietro & friends). Peró, posso giurare che parole come “regimi dittatoriali sudamericani” sono un tantino campate in aria, si.

Ció non accade nelle politiche (e societá) spagnole, francesi o inglesi, attive nel promuovere da queste parti ogni forma di cooperazione, intuendo il potenziale futuro di un Paese che sta crescendo di anno in anno e che sembra aver superato i suoi anni piú difficili. Come giustamente commenta Fla, in ogni cittá sudamericana c’é un centro culturale francese (Barranquilla conferma), e tra gli europei che arrivano in Colombia per turismo gli unici italiani appaiono a Cartagena, feudo della prostituzione low-cost.

Che aggiungere? Niente. Il post è scritto, mi faccio una bella striscia di pura-colombiana e sono pronto a scendere per le strade di Bogotá, con il fedele kalashnikov a tracolla. Se voi volete seguir l’esempio colombiano, fatelo cosi.

Metrospiritualita’


13 Giu

Creata dal suddetto ospite, cio\' appare in forma gigante nella sua stanza da letto.

Da troppo tempo mancavo in una grande citta’. A questo penso mentre un’orda di cinesi giaccacravattati esce da un pub irlandese e mi passa accanto. Banale dire che Barranquilla o Medellin hanno i loro grandi numeri: in Sud America non e’ la massa urbana a definire la grandezza di una metropoli. Nemmeno in questo, la massa degli “invisibili” che popola i sobborghi ha il suo peso, mangiare-bere-dormire-sopravvivere non sviluppa economie e allora anche Barranquilla coi suoi due milioni di anime diventa un paesello.

E invece, finalmente, eccomi incasinato tra codici di bus e polveri sottili (e comunque decisamente piu’ spesse di quelle europee, molti mezzi qua vanno a carbone). Eccomi perso a vagare nell’oblio comprando amache e un libro a 1000 pesos, 0.30 cents, “Plan y beneficio en la economia sovietica”, chiaro e lampante che mai lo leggero’. Ritrovo le lampadine accese anche al martedi’, utopie metropolitane che animano e smuovono i sonnambuli 7 giorni (notti) su 7. Mi invitano a mangiar robe diverse, con genti diverse, tra le altre la direttrice di Semana.com. Respiro nell’aria, oltre alle polveri sottili, il fermento politico che tanto manca sulla costa, l’elettrico aere che POTREBBE preannunciare grandi novita’.

E poi, una presenza fissa. Una serie di personaggi che, inspiegabilmente, incontro costantemente nelle capitali del mondo. I “metrosessuali”, un’entita’ indefinibile prima di tutto a loro stessi, un mix di newslangcool e disordinata pazzia che ancora una volta mi ospitano nelle loro allegre case profumate d’illogismi. I metrosessuali. Como le metropolitane, i metronotte e i metrologismi.

Ruta bogotana


12 Giu

Venti menu’ variegati e distinti. Uno per ogni ora di viaggio, attraversando una Colombia che piano piano si raffredda, si bagna, si tinge di verde e poi di nero e poi di alba tropicale. Fotografie gia’ viste, passano le ore, un bambino di 8 anni mi offre un mandarino. E’ sporco, scazzato, ha la maglia al contrario. Parliamo di calcio e di cose, a Bogota’ lo aspetta la mamma.

Passano le ore e sembrano giorni. Si alternano i risvegli ed i libri. L’autobus adesso attraversa l’altipiano dei Tatra slovacchi, poi la Svizzera, poi un sogno che diventa realta’ e si chiama Tunja. Giace persa a 3000 metri d’altezza e c’e’ la nebbia e profuma a malinconia, qualcuno sentenzia che si tratta del luogo piu’ freddo di questo sorprendente paese. L’autobus produce Vallenato, l’mp3 e Manu Chao lo sovrastano e lo annullano.

Poi, arriva Bogota’, con le sue manie di grandezza da metropoli mondiale. Il traffico conduce in un’altra eternita’, ma l’incubo finisce in un appartamento di facce conosciute ed ignote. Si obbedisce tutti alla legge che vuole “gli amici degli amici tuoi amici”. I muri sono dipinti d’assurdo, sulla porta della cucina c’e’ una serie infinita di fototessere: i visitatori di quest’antro d’artisti nel corso degli anni. Appendo la mia ma non mi riconosco in quel tipo.

“Cosa ci fai qua nella pioggia?” “No niente. Vengo a conoscere Mockus”. “ah grandioso, grandioso Mockus, andiamo a bere qualcosa”. Dopo la pioggia e prima della birra saltano fuori facce d’amico.

Gli uomini di ferro


10 Giu

Un libro è apparso nel complesso panorama politico colombiano, e racconta due storie biografiche particolari e intense.

La prima è quella di Ricardo Palmera, un dirigente bancario figlio della buona borghesia di Valledupar, un impegno politico per passione proprio negli anni più difficili, i martoriati ’80, nello schieramento meno indicato per l’epoca, il lato comunista. Una vocazione che sfocia nell’Unione Patriotica, partito de izquierda che nasce in quegli anni e muore falcidiato dal piombo e dal paramilitarismo. Con decisioni estreme per il nostro protagonista: l’addio alla famiglia, l’addio agli uffici burocratici, l’addio alla politica in giacca e cravatte e l’ingresso nelle Farc. Una rara storia di ideali, per un gruppo che gli ideali originari li ha persi da tempo immemore, tra violenze gratuite e narcotraffici evitabili.
La storia prosegue negli anni e si arricchisce di aneddoti, di personaggi, di amori guerriglieri e di intrallazzi nordamericani. Fino all’arresto (a Quito) e all’estradizione yankee (la prima, per un capoguerrigliero colombiano) messo a segno dall’intelligence USA nei confronti di chi, intanto, è diventato Simòn Trinidad, in onore al Libertador e alla sua battaglia bolivariana. Una vicenda che si articola, negli ultimi anni e nelle pagine del libro, tra le aule di un tribunale di Washington, dove inciuci falsi testimoni e fiumi di dollari hanno conseguito, alla fine, l’obiettivo di una condanna massima a 60 anni.

Ma c’è una seconda storia, ed è quella raccontata in prima persona dall’autore del libro. Un’altra vocazione, il giornalismo, e la determinazione totale per dedicarsi alla ricerca della verità come nessun altro in Colombia. Jorge Enrique Botero, con il suo “El hombre de hierro“, analizza il caso-Trinidad e la questione colombiana con una sensibilità particolare, frutto dell’esperienza che ha saputo guadagnarsi tra selve istituzionali e selve reali. Botero è stato l’unico ad accedere con una telecamera nei quartieri generali delle Farc, incontrandone Guru appena decaduti come Raùl Reyes e Tirofijo, informando il mondo dell’esistenza di Emmanuel, il bambino avuto da Clara Rojas con un guerrigliero.

Un buon libro, sì.

Calle 84 6 a.m.


09 Giu

Una strana sensazione nell’aria. Una casa incomprensibilmente vuota, per la prima volta i muri sono bagnati di una sostanza riflettente che non contempla i fantasmi. La casa è vuota, la stanza è vuota, le anime stesse sono vuote e ripetitive e paranoiche. Empty, vacìo. Parlano i chiodi nei muri, urlano al fumo la disperazione totale: llevaban en ellos trozitos de vida, trozitos de vida ahora cerrados en malletas y recuerdos.

L’armata dei superstiti accalorata agonizza intorno a una tavola. Il fondo è di vetro, attraverso lo sguardo s’intravedono piedi e immondizie e battiti di ali. Una combriccola di zombies, incollata a vicenda da dadi e bottiglie, da miele e parole, da brividi e buio. La superficie vitrea riflette un computer, cordone artificiale e itinerante. Nei suoi viaggi sbatte nella notte piccanti individui dalla città dell’ovest al disordine costeño.

Le parole volano e le mani scivolano nel caldo umido di vertigine e furore. Mentre i clacson accendono, le luci uccidono, le carezze smuovono la moltitudine di depravata passione. ¿Hai perso il filo? Anche io. Nel tombino di una città senza tombini.

Diary of a Baltic Man

Real Eyes. Real Lies. Realize.


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